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Intervista a Fabrizio Politi
Solitamente quando si parla di acquisti, il consumatore medio si sofferma su un rapporto che si basa su due elementi: la qualità e il prezzo. L’etica, da qualche tempo, è divenuto per taluni, una leva assai importante – inquinamento, impatto del consumo o della produzione di un determinato tipo di merce sull’ambiente, sfruttamento della manodopera, ecc. -. Esiste un signore, un imprenditore a dire il vero, Fabrizio Politi che da qualche tempo studia un diverso approccio al consumo e che per questo si è inventato una community – dal nome utopistico Sixth Continent -; un algoritmo e la sua relativa applicazione per smartphone – Mo.Mo.Sy. – e promette in maniera ambiziosa di rivoluzionare il consumismo e il mondo stesso inserendo nel rapporto di cui sopra un terzo elemento, oramai, fondamentale – visti i tempi che stiamo percorrendo -: l’opportunità economica. Ma cosa significa? Di fatto Politi, ha incrociato studi di settore, rating delle banche, modelli economici e indagini sulle abitudini dei consumatori e ha creato una mappa inserendo 500.000 nomi di aziende e multinazionali italiane e internazionali, individuando quelle che reinvestono nella comunità il denaro guadagnato – creando quindi ricchezza e nuove opportunità di lavoro – e quelle che, invece, mirano solo al proprio profitto – impoverendo, conseguentemente, la massa ovvero noi -. Non solo: le aziende sono state divise in verdi – le prime – e in rosso – le seconde – e sono state inserite in un database consultabile tramite, per l’appunto, l’app – Mo.Mo.Sy. – che in tempo reale comunica al consumatore, quali sono le aziende di cui acquistare i prodotti e quelle, di fatto, da boicottare affinché diventino verdi. Ciò accade, ovviamente, anche nel settore della moda.
Viviana Musumeci ha intervistato Fabrizio Politi:
V.M.: Com’è nata Sixth Continent e perché ti sei lanciato in questa avventura?
F.P.: In realtà non ho avuto altra scelta. E’ un po’ come se scoprissi la cura per debellare qualche malattia mortale e non la utilizzassi oppure non la mettessi a disposizione degli altri. Stiamo vivendo una crisi mondiale drammatica dove molte persone perdono il posto di lavoro e vivono la tragedia della consapevolezza di non trovarne un altro. Mi sono chiesto: cosa posso fare? L’intuizione, poi, di fatto, è stata quella di assemblare delle cose che già esistevano: studi, rating delle banche, modelli economici che abbiamo sotto gli occhi quotidianamente. Uno dei problemi principali è che i Governi non hanno più posto limiti all’arricchimento indiscriminato delle aziende e delle multinazionali. Anzi, di fatto, sono i responsabili di questa crisi che hanno messo dei limiti ai Governi. Il problema è complesso, ma tutti abbiamo contribuito a raggiungere questo risultato. Noi cittadini, che siamo di fatto la forza più potente che esista al mondo, abbiamo contribuito negli ultimi 30 anni a far accumulare il denaro in poche mani. Ma proprio perché i cittadini sono una forza eccezionale, ho pensato che si potesse invertire la rotta. La crisi economica si può sconfiggere.
V.M.: In che modo?
F.P.: Oggi si parla solo di bilanci; non si parla di felicità , di benessere, di scuole. I Governi ormai hanno le mani legate e non hanno più il potere per porre dei limiti a questo tipo di forze. Uno dei motivi per cui in passato sono stati posti dei limiti da parte dei Governi è per evitare la nascita di aziende e banche sistemiche, quelle che si arricchiscono impoverendo la massa. Mi sono chiesto come si potessero rimettere i limiti e leggendo un libro sulla “nanotecnologia” ho avuto la prima intuizione: se una massa di consumatori aggrega il denaro in maniera differente, la massa stessa avrà un potere maggiore e diverso. Poi ho capito che dovevo studiare anche un modello matematico che mi indicasse il limite. E di fatto ho capito che quello è rappresentato dalle aziende che assorbono più denaro di quello che rilasciano nelle società. Ci sono esseri umani sempre più ricchi, e altri sempre più poveri. Volevo che ci fosse un equilibrio. Dovevo trovare un algoritmo che raccogliesse credibilità anche a livello internazionale. E di fatto quello che ho elaborato si basa sull’utile netto delle aziende e sul numero di dipendenti (due dati oggettivi) . Ho scritto un libro sull’argomento poiché volevo arrivare a più persone possibili, ma dopo il clamore del lancio, tutto è tornato come prima. Un giorno ero a bere un aperitivo con un amico, quando a un certo punto il figlio che disse al padre, guardando un’app sull’iPhone, che il giorno successivo sarebbe stato bello e che per questo potevano fare una gita. Lì ho avuto un’altra folgorazione. Ho pensato che un bambino poteva sapere senza conoscere la metereologia che tempo ci sarebbe stato il giorno successivo, anche la massa senza conoscere logaritmi e calcoli vari, ma con una semplice applicazione, avrebbe potuto sapere quali aziende creano impatto sulla massa e quali no.
V.M.: Mo Mo Sy individua le aziende etiche?
F.P.: Non è quello il suo obiettivo, ma quasi sempre conduce sia alle aziende che hanno un comportamento etico, sia a quelle che non ce l’hanno per il semplice motivo che quando un’azienda, ad esempio, sfrutta la manodopera di Paesi in via di sviluppo, lo fa per pagare meno tasse nei paesi occidentali e siccome Mo Mo Sy follows the money, le intercetta.
V.M.: Quali sono i nomi di azienda di moda da donna che Mo Mo Sy inserisce nella lista delle rosse, cioè di quelle che non distribuiscono il denaro guadagnato sulla massa?
F.P.: Le prime che compaiono sono: Valentino (ndr rilevata quando apparteneva ancora al Fondo Permira), Boss, United Colours of Benetton, Fendi, Emilio Pucci, Chanel, Prada, Hermes, Zara e Gucci.
V.M.: Quali sono, invece, quelle che compaiono tra le verdi?
F.P.: Burberry, Pirelli, Tod’s, Ferragamo, Diesel, Moncler, Dolce&Gabbana, Dama Paul & Sharke Ittierre.




















