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Necropoli Saadita, opera d’arte del Marocco
Quando il sultano El Mansour, il “Dorato“, morì, il suo corpo venne portato a Marrakech. Lungo viaggio. A causa della insicurezza del Paese, per evitare le tribù della montagna, le carovane passarono per Rabat e seguirono poi le rive dell’Oceano. Il corpo del “Dorato” fu deposto in una tomba della necropoli, costruita dai saaditi, che ad oggi è riconosciuta come una delle più alte opere d’arte del Marocco, forse dell’Africa del nord. Questa importante necropoli venne scoperta dal maresciallo Lyautey durante un soppraluogo aereo sulla città di Marrakech ai primi del ‘900 . Tutta la struttura era stata mascherata da un alto muro per renderla invisibile: questo avvenne durante il dominio alawita sotto il comando di Moulay Ismail, che non lo distrusse per la paura di profanare un luogo di sepoltura. Sotto il dominio saadita del sultano Moulay Ahmed al-Mansour (1574-1603) si dispose la costruzione per accogliere la salma della venerata madre, Lalla Messaouda, nel 1591. La necropoli è situata a lato della moschea della Kasbah e ci siarriva percorrendo uno stretto e lungo corridoio anonimo. Il mausoleo principale, a sud, con una splendida porta in cedro finemente scolpita, è composto da tre sale differenti. La prima, la sala del Mirhab, la nicchia per le preghiere rivolta verso la Mecca, è caratterizzata da un oratorio con tre navate e tre arcate che appoggiano su quattro colonne in marmo. Per accedere alla sala funeraria bisogna oltrepassare una splendida porta scolpita. In questa sala tutte le pareti e i soffiti sono uno spettacolo continuo per gli occhi: legno di cedro, marmi di Carrara, soffiti arricchiti da preziosi muquarnas, zellijg, dorature, e una luce dolcissima che avvolge e sottolinea la preziosità del luogo. Le tombe presenti in questa sale sono dei sepolcri di bambini: il più bello è quello del sultano alawita Moulay al-Yazid (1790-1792). La seconda sala è il clou di tutta la visita e vi si può ammirare al centro, la tomba del sultano saadita Al Mansour. E’ anche la sala più vasta (circa 10 mt su 12) ed è considerata come un vero capolavoro dell’arte ispano-moresca, chiamata la Sala dalle dodici colonne. In questa sala si trovano altre cinque tombe e diverse piccoli sepolcri di bambini: tutti sono ricoperti da un blocco di marmo. Tutta la decorazione è sublime con le dodici colonne da sfondo che donano un eleganza e una potenza rara. Il marmo di Carrara, all’epoca, era acquistato barattandolo con lo zucchero, in egual peso, essendo considerato un bene prezioso e unico. La terza sala detta delle Tre Nicchie contiene esclusivamente delle tombe di bambini. Il secondo mausoleo, a nord, meno importante del primo, ospita la tomba di Lalla Messaouda; è una costruzione quadrangolare di 4 mt su 4 e ingloba in una sala più grande, fiancheggiata da due loggiati e ricoperta dal caratteristico tetto in ceramica verde. La nicchia dove si trova la madre di Al Mansour è interamente decorata ad alveare. I giardini esterni, situati tra i due Mausolei, ospitano le tombe di soldati e servitori, oltre ad alberi, bouganville e rose in fiore. Io consiglio sempre di raggiungere il mausoleo al mattino, verso le 9, per immergersi in un atmosfera di pace e di serenità rara, senza il brusio della folla di turisti che viene scaricata dai bus, rischiando anche di dover mettersi in coda per ammirare le sale.
Necropoli Saadita – Rue de la Kasbah – Kasbah di Marrakech
Fonte: My Amazighen
Musée Yves Saint Laurent, due musei consacrati alle opere del maestro
I due musei consacrati alle opere di Yves Saint Laurent (1936-2008) apriranno le loro porte a Parigi e a Marrakech il 16 ottobre, ha annunciato la Fondazione Pierre Bergè-Yves Saint Laurent. Questi due musei permetteranno alla Fondazione, che conserva 40 anni di creazioni dello stilista, di esporre una parte delle sue collezioni, composte da oltre 5.000 abiti, 15.000 accessori e decine di migliaia di schizzi e immagini. Il museo parigino occuperà la storica maison di avenue Marceau dove dal 1974 al 2002 ha visto nascere le creazioni dello stilista e dove oggi si trova la sede della Fondazione. Su oltre 450 mq, una cinquantina di modelli con relativi accessori, abbozzi, immagini e video, saranno presentati al pubblico che potrà anche visitare gli storici saloni e lo studio di Yves Saint Laurent. Il secondo museo YSL aprirà il 16 ottobre a Marrakech, città che lo stilista scoprì nel 1966 e in cui soggiornò con una certa regolarità fino alla morte. Lo troverete in rue Yves Saint Laurent, nelle vicinanze dei Giardini Majorelle e del Museo di Arti berbere (entrambi curati dalla Fondazione con circa 70.000 visitatori annui). Il museo, di 4.000 mq, è stato pensato come un centro culturale con diversi spazi per esposizioni permanenti, auditorium, biblioteca di ricerca e ristorante. A bientot!
Fonte: My Amazighen
Santorini, tramonto antica magia dell’isola
L’isola della Grecia fronteggia l’assalto dei visitatori: per 8 mesi è caos. Grandi navi e aeroporto in tilt, nel borgo ogni casa diventa un B&b
Immaginate una tipica isola cicladica, con le case calcinate a picco sul mare blu. Immaginate le stradine, le piazzette e le taverne direttamente sul mare. Se pensate che Santorini, “kallisté”, la “bellissima” degli antichi, sia questo, siete completamente fuori strada. L’antica Thira è stata il centro dell’anello delle Cicladi, è stata l’isola dei ciuchini che ti portavano dal porticciolo antico alla cima, dopo oltre 550 gradini a picco sul mare. È stata l’isola degli straordinari tramonti goduti in solitudine e del meltemi che spazza l’orizzonte. È stata perfino Atlantide. Ma sfido qualsiasi viaggiatore che l’abbia visitata prima degli Anni Ottanta a riconoscerla oggi.
Una visita a Santorini dovrebbe iniziare dai resti di Akrothiri, antica cittadina satellite di Creta, seppellita dai resti della più grande eruzione mai avvenuta nel Mediterraneo. Nel 1600 avanti Cristo, dopo giorni di terremoti ed emissioni di gas, l’isola esplode letteralmente, cancellando quasi completamente la raffinata civiltà che si era insediata sulle sue coste. Si è pensato che quella catastrofe potesse aver causato la fine della civiltà minoica, ma recenti studi permettono di escluderlo, lasciandogli forse solo un ruolo propedeutico. Per questo, comunque, molti hanno identificato in Santorini l’Atlantide di Platone. È certo l’azzurro della “stanza delle ragazze”, a seni nudi, truccate e acconciate, o gli affreschi delle scimmie dagli occhi allucinati a raccontare di una vita quotidiana felice e ricca. Nei resti scavati solo a partire dagli Anni Settanta, strade, piazze e palazzi, qualcuno addirittura con il bagno in casa, e soprattutto tonnellate di ceneri bianche che hanno seppellito tutto. Ma nessun cadavere, come se ci fosse stato il tempo per fuggire prima dell’epilogo. Un ibex d’oro, forse una statuina giocattolo, è l’unico bene ritrovato, un altro segno che fa la differenza rispetto a Pompei, dove una pausa nell’eruzione aveva dato l’illusione che si potesse tornare.
Ma quando arrivo dal mare il primo segno che qualcosa è cambiato lo vedo alla fonda o nel porto: fino a quattro o cinque enormi navi da crociera che stazionano dentro l’anello creato dalle pareti del vulcano e che vomitano migliaia di turisti al giorno in una miriade di pullman di ogni forma e grandezza. Incuranti delle piccole Nea Kameni e Palea Kameni, brandelli di isole vulcaniche all’interno dell’isola, testimoni delle ultime eruzioni del vulcano negli anni Cinquanta. A questi si aggiungono i turisti che decine di voli giornalieri portano da ogni parte del mondo. Tutti a cercare il panorama, a mangiare octopus e bere ouzo, ma, più di ogni altra cosa, tutti a guardare il tramonto. A ridosso del calar del sole, a migliaia si accalcano verso Oia, il paese del tramonto. Decine di pullman si incolonnano sulle stradine dell’isola e si ingorgano insieme con auto a noleggio, quad e camionicini di servizio, spesso senza neanche riuscire a scendere in paese.
Bar e ristoranti sono tutti orientati al tramonto. Le terrazze valgono oro e sono sempre tutte piene. Gli hotel si sono tutti trasformati in resort di lusso e spa, con piscina privata per ogni suite a picco sul mare che rimane comunque irraggiungibile, quasi un elemento d’arredo. Il privilegio del tramonto diventa un incubo che termina solo a tarda sera, quando anche l’ultimo dei pullman riesce a rientrare da Oia e a liberare le strade. Ed è così da aprile a novembre, unico caso di destagionalizzazione che non comporta alcun vantaggio per il turista, sballottato sulle stradine e ingolfato nel saliscendi dei centri abitati.
Grandi navi e aeroporto spiegano in un attimo perché Santorini sia diventata irriconoscibile: lo spazio dell’isola rivolto al tramonto resta sempre quello, ma i turisti incrementano. E la facilità di collegamenti non conferisce qualità alla vacanza. Il risultato è un caos indigesto, inadatto al godimento, molto peggiore di quello di Nanni Moretti in “Caro Diario” alla sua prima notte a Lipari. Fuggo a Pyrgos, dove qualche taverna conserva ancora il fascino delle Cicladi e da dove non si vedono né mare né tramonto. E rifletto sulla crisi economica che ha travolto la Grecia ma non le sue isole, dove i prezzi sono alti e i flussi non conoscono soste. È un bene per i suoi abitanti ma il consumo del bene-isola dovrebbe preoccupare: i grandi alberghi non appartengono quasi più ai greci e la ricchezza diffusa che un tempo accompagnava il turismo ha lasciato il posto a una concentrazione in cui l’unico ruolo a disposizione degli autoctoni è quello dei camerieri. E poi vive ancora qualcuno a Oia? Tutti gli edifici ospitano hotel, affittacamere, negozi, bar e ristoranti: non c’è più nemmeno una casa privata. Tutto in nome di un tramonto di cui si conosce molto bene il prezzo, ma non più il valore.
Mario Tozzi
Fonte: La Stampa
Oukaïmeden, sciare sul Jbel Toubkal in Marocco
Una bella settimana bianca a Marrakech ? Perchè no! A soli 75 km dalla Villa Rouge è possibile sciare in tutta tranquillità, lontani dagli standard europei, certo, ma con il vantaggio della discreta affluenza di pubblico e l’autenticità dei luoghi. Il Marocco si sa è il paese dei contrasti e dei paradossi e, come scrisse il giornalista Marcel Carpozen in uno dei suoi articoli consacrati alle stazioni di sci e agli sport invernali negli anni ’50, “è difficile per le persone d’oltre mare immaginare di sciare in Marocco, Paese del sole“. Difficile ma provateci! La storia della stazione sciistica dell’Oukaïmeden inizia nel lontano 1936, quando il CAF (Club Alpino Francese) costruì il primo modesto rifugio, che permise una frequentazione più regolare del sito e l’organizzazione dei primi corsi di sci. Nel 1938 venne impiantato il centro militare e nel 1941 uno chalet più spazioso gestito sempre dal CAF. I Campionati di sci del Marocco furono organizzati per la prima volta all’Oukaïmeden nel febbraio 1942. Nel 1948 la prima strada carrozzabile che partiva da Marrakech via Tahannaoute e Sidi Farès, venne aperta e cinque anni dopo due Hôtels e una trentina di chalets privati furono costruiti. Nel contempo alcune strade interne alla valle vennero progettate con gli scavi e il passaggio dell’acqua e l’elettricità e infine le prime due seggiovie; la prima chiamata del “Chouka” ( lunghezza di 1.100 mt con un dislivello di 380 mt) e quella media ( lunghezza di 297 mt con un dislivello di 78 mt). Con queste due opere furono costruiti due trampolini di salto. Nel 1963 la stazione dell’Oukaïmeden si dotò di una seggiovia lunga 1960 mt con un dislivello di 620 mt, capace di trasportare 600 persone all’ora e nel contempo vennero intrapresi numerosi lavori di consolidamento e un nuovo centro nazionale di elettricità che, incoraggiò la costruzione immobiliare e la frequentazione turistica.
Nel 1965 la nuova strada d’accesso dalla valle di Ourika venne inaugurata e permise di raggiungere facilmente la stazione che venne dotata di altre due seggiovie supplementari nel 1967 e di un segnale telefonico automatico. Nel 1992, la cima dell’Oukaïmeden venne dotata di un teleski con uno chalet ristorante e una serie di tavole di orientamento. Le piste oggi coprono una superficie di 300 ettari concentrate sul fianco nord della montagna, situate tra i 2.620 e 3.270 mt di altitudine. Gli impianti sono praticabili da metà dicembre sino al fine marzo ma è bene informarsi prima dello stato di innevamento della montagna, non sempre garantito. Il 75% delle piste hanno grandi difficoltà tecniche, quindi sono indirizzate esclusivamente a ottimi sciatori; il resto è dedicato ai principianti e agli sciatori di media capacità. Ovviamente le piste e le risalite non sono ancora numerose e la città di Marrakech ha garantito il suo sostegno economico per attuare diversi progetti in fase di studio e realizzazione. La cosa più importante da sottolineare credo sia il contrasto totale di una città come Marrakech, esotica e calda, e la possibilità di sciare ad un ora appena di auto. Per chi cerca luoghi “fashion”, l’Oukaïmeden non è il posto giusto; S.Moritz, Cortina o il Sestriere non hanno nulla da condividere con questi luoghi; qui la natura regna sovrana e si possono scoprire villaggi di terra innevati, gente umile che vive con poco, panorami mozzafiato e cordialità. Alle partenze degli skilift ci sono anche i muli, bardati alla berbera, e con pochi dirham potrete farvi trasportare sulle piste, rivivendo tempi passati e lontani, tempi carichi di atmosfera e serenità dove il legame con la natura era forte e coinvolgente. Proprio come oggi sull’Oukaïmeden, non si sà sino a quando purtroppo. Attualmente l’ingresso alla stazione costa circa 20/30 dh ( 2/3 euro), il semigiornaliero per gli impianti costa 30/50 dh (3/5 euro), il parking auto giornaliero costa circa 3 dh ( meno di 30 centesimi di euro) e un buon pasto a base di tajine costa 50/80 dh.
Informazioni pratiche:
Rifugio CAF – tel. 024 319036 Prezzo adulti per notte circa 110 dh ( 10 euro) – il rifugio dispone di 158 posti letto di cui 76 in camere da 4/8 persone, docce e servizi igienici, salone bar, refettorio, TV, biblioteca, sala giochi.
Auberge de l’Anghour (per gli amici Chez JuJu) – 024 319005 – dal 1947 una tappa obbligatoria anche solo per gustare un ottimo pranzo. Aperto tutto l’anno. Camera doppia standard 900 dh (90 euro circa).
Hotel Le Courchevel – 024 319092 – la camera doppia con prima colazione 900 dh (90 euro circa). All’interno del parco sono in fase di ultimazione una serie di bellissimi bungalow in legno con grandi vetrate sulla montagna.
Fonte: My Amazighen
Azemmour, memoria storica del Marocco
Le guide turistiche la menzionano appena, gli automobilisti pressati ci passano attorno senza entrarvi, i bambini la disertano: Azemmour conta poco nella geografia marocchina. Una tale mancanza davanti ad una vecchia signora è rivoltante. Lo sguardo fisso sulle acque irradiate del Oum Errabi, dove si specchiano le antiche glorie e si ruminano amarezze. Azemmour non ha vissuto per questa infamia. Poi si consola e si dice da sola che è sopravvisuta alla sue sorelle in eterno splendore, sorelle come Tit, Lixus, Chellah e Medhia. Dopo che queste città sono sprofondate nelle sabbie mobili della Storia lei tiene ancora, malgrado le ferite inflitte dal tempo. Dall’alto della sua immemorabile nobiltà guarda El Jadida e Casablanca che, insolentemente, mostrano i loro segni esteriori di ricchezza. Azemmour si ostina, con tenacia, a non voler dimostrare i suoi anni. I Fenici la coprirono di elogi chiamandola Azama. I Cartaginesi vi gettarono l’ancora, conquistati dalle sue ricchezze. I Romani se ne impadronirono e svilupparono la pesca alla trota salmonata, che si riproduceva nell’estuario dell’Oum Errabi. Prima ancora non si possono attribuire paternità ad Azemmour; le radici del toponimo Azemmour, in berbero, riporta alle olive selvatiche, e lo storico Brahim Boutaleb sostiene che questa città è berbera di nascita. Testi antichissimi stabiliscono che fu popolata dai Bacuates. Questa tribù non è altro che quella dei Berghouata, una delle tante tribù Masmouda, installatasi durante i secoli nei territori Doukkala. Quandol’Islam si spanse nel resto del Paese, i Berghouata entrarono in disaccordo. Non rigettando la nuova religione ma reinventadone i dogmi e i riti, con il Libro Sacro in lingua amazigh e un credo ritagliato. Ma prendendo sempre più spazio la tribù sahariana dei Sanhaja, capitanata dagli almoravidi Abdallah Ibn Yassine e Youssef Ibn Tachfine, cacciarono gli eretici in nome di una nuova ortodossia. Una volta ristabilita trovarono un sant’uomo, di nome Abou Chouaîb Ayyou Ibn Saîd Sanshaji, per radicare la vera fede ad Azemmour. Solo gli specialisti conoscono il segreto dell’arrivo di Abou Chouaîb dai confini del Sahara a Azemmour. Per i comuni mortali è il Patrono, quindi ricevette la Baraka (benedizione). Sulla strada che porta al suo Santuario un folla colorata e chiassosa si attarda davanti ai banchi dai commerci più disparati. Conflitto nella devozione, il santo fece voto di castità pertanto si declama la sua virtù nel rendere fecondi i ventri sterili. E’ chiamato “il donatore di bambini“e a questo titolo il suo Mausoleo è preso d’assalto dai “veggenti” che in cambio di un offerta assicurano un miracolo tramite Moulay Bouchaîb. Ma ne sono capaci? Per gli azemmouri la domanda è superflua, perchè secondo alcune storie, ben radicate, Moulay Bouchaîb è un dispensatore di miracoli. E tutti citano volentieri la leggenda secondo la quale apparve in sogno al santo una bellissima donna, che abitava nella lontana Baghdad: Lalla Aîcha Bahria. Con la forza delle preghiere la donna del sogno arrivò a Azemmour. Nel momento sbagliato perchè uncorso d’acqua si mise sul cammino dei due sospiranti dividendoli per sempre. Vissero, e poi morirono, ognuno sulla propria riva. Sotto gli Almoadi e i Merinidi, Azemmour conobbe una prosperità senza eguali. Una volta condotta sul giusto cammino, Azemmour divenne la città favorita dei sultani.
Sotto il regno dell’almoade Abdelmoumen e del merinide Abderrahman, mise a frutto le sue innumerevoli risorse: l’agricoltura, l’artigianato, la pesca e la borgata divenne una sorta di metropoli per la regione intera. Seguì una lunga epoca di prosperità, furono secoli d’oro. I portoghesi, che occuparono Mazagan e Safi, non poterono restare indifferenti alla splendida città, dove i suoi frutti divennero appetibili e in specialmodo la pesca florida . La città venne assalita nel 1508, senza risultati. Tornati alla carica nel 1513 i portoghesi vinsero ma dopo 30 anni vennero cacciati. Estevanico, nato a Azemmour intorno al 1503 venne venduto come schiavo ad uno dei quattro comandanti della spedizione di Navaez che sbarcò sulle coste della Florida(Cabeza de vaca). Fu il primo, insieme agli atri Conquistadores, a scoprire e attraversare l’Arizona e il Nuovo Messico. Venne ucciso dagli indiani Zuni a Cibola (una delle leggendarie 7 città d’oro) nel 1539. Le tracce del passaggio dei portoghesi sono evidenti: robuste mure che circondano la vecchia medina, cannoni ovunque che sembrano pronti al tiro a vista sugli eventuali conquistatori. Entrare nella medina è come bagnarsi in uno charme vetusto che si esala da ogni cosa, strada o casa che sia. Tutto qui respira l’antica aria portoghese: portali in cedro dipinto, facciate ornamentali geometriche in pietra, forme cubiche delle case. E poi i nomi delle strette strade che evocano mestieri antichi: alkarraza (i cordai), addarraza (i tessutai), alkhayata (i sarti). Tutte le arti sono state coltivate a Azemmour, in particolare quella della fabbricazione delle babouches, dei tappeti, dei ricami, della gioielleria e delricamo e in queste ultime due gli ebrei erano i maestri assoluti. L’occupazione portoghese ha segnato profondamente e indelebilmente la città. Quando i Fenici, trenta secoli fa, abbordano le rive di Azemmour, alcuni mercanti ebrei erano al loro seguito. Alcuni di loro non ripartirono. I loro discendenti si specializzarono nel commerciodelle trote salmonate, che si spinse verso Casablanca e Mazagan. Della presenza ebrea non restano che poche vestigie tra cui un cimitero sulla riva sud del Oum Errabi, dove le tombe crollano e si distruggono sotto le cattive erbe. Nel quartiere ebreo, lamellah, che non si distingue più dall’altra medina, è visibile la nicchia del santuario del rabbino Abraham Moul Ness, un taumaturgo “inventato” negli anni ’40 e ancora oggi manifestamente visitato. A lato un edificio semidistrutto dove si intravedono, dalle grate delle sue finestre diroccate, alcuni candelabri a sette diramazioni, chiamati menorah. Sinagoga o casa di famiglia? Nessuno lo sa. L’epoca d’oro poi terminò. Di fatto, dopo aver cacciato gli spagnoli da Mazagan, città vicina, il sultano alaouita Sidi Mohammed Ben Abdallah decise di aprire il Marocco al commercio atlantico. Con questa misura città come Mogador (Essaouira), Safi, Casablanca, Larache e Tangeri ebbero un enorme profitto. Per Azemour il numero troppo alto di navi e battelli che solcavano l’estuario del fiume da e per l’Atlantico, divenne insostenibile. Il suo porto fu condannato all’oblio per la difficoltà che creava alle navi. La città dovette contare null’altro che sull’agricoltura e la pesca alle trote per sopravvivere. Così la trovarono i francesi all’inizio del loro protettorato: una città piegata su se stessa, troppo incollata al suo passato per occuparsi dell’avvenire. Più le colonie la disertarono più rinforzò il suo lassismo, restando ai margini della modernità, guardando la sua gloria passata. Azemmour si piegò ma non si spezzò grazie alle trote che frequentavano il suo estuario. La costruzione poi della diga di Sidi Maächou gli regalò il colpo di grazia; migliaia di pesci di mare rimontarono il fiume due volte all’anno per riprodursi creando scompensi del delicato ecosistema della trota. Privata della sua ultima risorsa Azemmour cadde nell’oblio. Da allora la disperazione si accompagnò alla città come una cattiva ombra. I viaggiatori che si avventurarono, sovente per inavvertenza, rimasero colpiti dalla desolazione lampante e oggettiva che si scorgeva, per l’incuria che avanzava. Azemmour era, sino a qualche anno fa, l’ombra di se stessa.
Oggi, faticosamente, sta rimontando la china con orgoglio e memoria storica. Il suo sito incomparabile, i suoi tesori monumentali e la sua reputazione di musa di grandi pittori non meritano una sorte crudele. Il turismo si sta facendo strada; surfisti, semplici viaggiatori, appassionati d’arte, arrivano alla chetichella per ammirarla in tutto il suo splendore. Architetti famosi e pittori illustri hanno convertito delle decrepite dimore in Riad spettacolari, alcune gallerie d’arte sono state create nella medina storica e, cosa fondamentale, un piano di turismo della città è stato sviluppato. Ilrinascimento di una città antica, carica di memoria e talmente affascinante da sembrare irreale, sta sorgendo dalle sue ceneri per svelare i suoi misteri e le sue glorie ai visitatori del mondo.
Info pratiche: Azemmour dista un ora da Casablanca. Pernottamento presso alcuni riad Maison d’Hôtes nella medina antica (non necessita prenotare), vi consiglio il Riad Azama, sull’estuario del fiume con vista sull’Oceano Atlantico (prezzi circa 90 euro la camera doppia con prima colazione).
Fonte: My Amazighen
Marrakech, euforia naturale dei giardini Majorelle
Quando si entra nei giardini Majorelle di Marrakech il primo choc è quello dei colori: il blu oltremare certo, ma anche il verde Veronese o il giallo vivo di certi vasi. Altro fattore di interesse è la villa, la sua estrema modernità senza tempo, ancora oggi senza una ruga: splendida, con una classe e una leggerezza intemporale. Una villa di artisti, sicuro!. Ogni volta poi che si ritorna è sempre una grande felicità trovarsi nel bel mezzo di questa profusione di colori e profumi. Il piacere è grande, il silenzio e lapace in opposizione con la vita tumultuosa e caotica della città, che circonda la struttura. Le panchine disposte nel parco, tra le palme, sono un invito al relax e alla meditazione. Il nome del giardino deriva dal suo creatore, il pittore francese Jacques Majorelle che, nel 1919, si installo’ a Marrakech, conquistato dalla sua luce, dai suoi colori e dal suo modus vivendi.
Nel 1924 acquisto’ un terreno all’esterno delle mura della città, e costrui’ il suo Atelier nel 1937, oggi sede del Museo di Arte islamica. L’artista dipinse la villa con dei colori vivi dove prevalse il blu, il famoso blu Majorelle. La gente, sorpresa da questo colore, lo identifico’ subito come il blu Majorelle, un blu intenso, elettrico, diventato famoso come il colore del pakaging delle sigarette Gauloises. I giardini che circondano l’Atelier vennnero piantumati con differenti specie botaniche, provenienti dai cinque continenti, principalmente cactus e bouganvilles. Tutto questo, più tardi, diventerà il giardino Majorelle. Dopo un incidente d’auto, Majorelle rientro’ a Parigi dove morirà nel 1962.
Dopo la sua morte il giardino rimase aperto al pubblico e subi’ delle forti degradazioni. Nel 1980, Yves Saint Laurent e il compagno Pierre Bergé, che non erano altro che dei visitatori e ammiratori del giardino Majorelle, lo acquistarono. Salvarono questo luogo dalle speculazioni edilizie immobiliari che minacciavano quasi tutti gli antichi giardini di Marrakech. Iniziarono a quel punto i lavori di restauro, con l’aiuto dell’etnobotanico Abderrazak Benchaâbane. Pierre Bergé ricorda: “I giardini Majorelle e noi, una grande storia d’amore. Nel 1966 arrivammo, io e Yves Saint Laurent, a Marrakech. Nove giorni dopo la nostra venuta nella città, acquistammo una casa nella Medina: Dar El Hanch. Ma molto presto noi scoprimmo la città e in primis i giardini Majorelle. Noi sapevamo chi era il pittore in questione e chi fu suo padre(n.d.r – famoso ebanista della grande scuola di Nancy, amico del Maresciallo Lautey; quest’ultimo consiglio’ all’artista di far soggiornare il figlio Jacques a Marrakech, per alleviarlo da gravi problemi respiratori).
All’epoca i soli visitatori erano dei giovani studenti che pagavano l’ingresso con un dirham. Noi andavamo tutti i giorni, poi tutte le sere. Qualche anno più tardi acquistammo una casa proprio di fianco a quel luogo incantato e poetico. Poi venimmo a conoscenza che stava per essere venduto per trasformarlo in un Hôtel. A quel punto lo acquistammo immediatamente“.La vegetazione era lussureggiante, ma anarchica. Si doveva dunque riorganizzare lo spazio e dare un ordine all’insieme. Nel 1999 Bergé penso’ alla ristrutturazione della flora e anche alle modalità di amministrazione del giardino. Nel marzo 2000 si decise per il restauro, dotando il giardino di importanti mezzi operativi. Durante i nove mesi di lavori un èquipes lavoro’ giorno e notte per installare un sofisticato impianto di irrigazione automatica che permise la riduzione del 40% di acqua, permettendo di regolarne efficacemente la ripartizione secondo le ore della giornata e il bisogno specifico di ogni pianta.
Per restare fedeli allo spirito di Jacques Majorelle, autentico appassionato di piante esotiche, la collezione si arrichi’ di numerose specie rare. La flora del giardino passo’ da 135 a 300 specie . Una suberba collezione di cactus (oltre trenta famiglie sono presenti) venne installata su di una parcella molto assolata del giardino. Palme e bamboo vennero importati dall’America Latina e dall’Oceania. L’architetto americano, trapiantato a Marrakech, Bill Willis, modifico’ l‘ingresso del giardino per preservare il suo mistero ( si scopre poco a poco) e successivamente tutto il complesso venne donato dai proprietari alla città di Marrakech e al patrimonio marocchino. Oggi una èquipe di venti giardinieri si occupa della gestione quotidiana del giardino, delle fontane e degli specchi d’acqua. Questo spettacolare giardino si lega indissolubilmente con il grande stilista francese le cui ceneri, dopo la sua morte avvenuta nel 2008, sono state sparse nella parte privata del giardino, situato davanti alla grande villa padronale (non visitabile). Ultimo omaggio alla città di Marrakech, la Ville Rouge, che è stata fonte di ispirazione inesauribile per YSLe la sua Arte.
Giardini Majorelle – Orario Invernale dalle 09.00 al tramonto – Ingresso 30 dh – Museo di Arte Islamica – Ingresso 15 dh – Tel.024 301890 – www.jardinmajorelle.com
Fonte: My Amazighen
Skoura, oasi dalle mille Kasbah
Skoura è una parcella araba in terra berbera, ma fu anche un centro ebreo molto importante, con la sua antica Mellah (quartiere giudeo), con la stessa concezione di società che era presente a Tazzarine, un luogo dove le differenti popolazioni del Draa vivevano in pace ed armonia. Il suo Marabout (santuario/santo protettore), Sidi M’Bark è circondato da un grande agadir (granaio), che aveva lo scopo di proteggere il grano si, ma anche di beneficiare della vicinanza del santo, ed avere protezione spirituale. La Palmeraie di Skoura supera i 25 Kmq, e poi intorno le miniere del sale e ancora i suoi monumenti e le sue Kasbah antiche. Sui vecchi biglietti da 50 dh è impressa la Kasbah più celebre, quella di Amerhidil (su quelli di nuovo corso è stampata invece la Kasbah di Taourit a Ourazazate). Skoura possiede una molteciplità di importanti siti con un passato storico importante per il Paese: Dar Aît Hammou, Dar Aît Sidi El Mati, Tighermt’n Oumghar a Toundout, Dar Aît Sous, Dar Aît Bel El Hussein, Dar Es Sragna, Ksar Oulad Hassane, Dar Aît Attaoui; tanti preziosi castelli/fortezza che fanno la ricchezza di questo sito incantevole.
La Kasbah più alta é quella di Aît Abbou, 26 mt di stupefacente e rara bellezza nel cuore della Palmeraie, un sogno. La Kasbah Amerhidil venne edificata nel XVII° secolosui bordi del Oued (fiume) El Hajjaj, ed è abitata ancora oggi dalla stessa generazione che la costrui’, la famiglia Nassiri. L’attuale proprietario ha creato un piccolo museo dove ha raggruppato molti oggetti artigianali del Marocco del sud e, senza problemi, vi accompagnerà nella visita della sua casa raccontandovi come i suoi parenti vivevano in altri tempi, insieme a gustosi aneddoti tramandati nei secoli. E’ una delle rare Kasbah del sud ad essere in ottimo stato conservativo ed è importante, con la visita, aiutare questo gentile signore con un obolo di ingresso, che servirà per gli innumerevoli lavori sempre in programma. La passeggiata nella Palmeraie di Skoura è d’obbligo, in specialmodo nei periodi primaverili, quando è tutto verde e coltivato. Palme da datteri, alberi da frutto (che sono la ricchezza del Dadès), con le sue mele, i mandorli, le noci, i melograni, i fichi e ai loro piedi grano o erba medica, secondo la stagione. Questa esplorazione nella Palmeraie si puo’ fare a piedi oppure a dorso d’asino, che qui sono numerosi. Il percorso attraversa le parcelle coltivate, ai piedi delle tante Kasbah che incontrerete nel tragitto. A dieci Km circa da Skoura, il piccolo e grazioso villaggio di Sidi Flah, lungo il fiume Dadès. E’ un sito molto bello da visitare in estate, in mezzo alla natura e ai tanti pastori e contadini che lavorano la terra instancabilmente.
Lungo il fiume si formano delle piccole spiaggie dove è possibile fare dei bagni e prendere il sole, che qui già in primavera è caldo. Non dimenticate, se siete una donna, che uscendo dall’acqua è meglio coprirsi con un asciugamano/accappatoio in quanto siamo nel Marocco profondo, lontano anni luce dall’Europa; la vista di una donna in costume puo’ ancora creare imbarazzo a molte persone. Nella vicina Toundout potete visitare le miniere di sale ma la cosa più interessante della zona sono i fossili. Qui è stato scoperto il dinosauro più antico del mondo, il Tazoudasaurus Naîmi, di circa 180 milioni di anni. Tutta la regione, dai contrafforti dell’Atlas sino alle dune sahariane e l’Hammada del Draa, è un museo archeologico a cielo aperto. Tazoudasaurus è partito per la Francia dove verrà analizzato con sosfiticate apparecchiature ma ritornerà in Marocco a breve. E’ in progetto una “strada dei dinosauri” che partirà da Ouarzazate sino a Demnate. A Skoura vi consiglio il souk (mercato) che si svolge ogni lunedi’ dove potrete acquistare datteri unici al mondo per la loro bontà e ceramiche artigianali di fattura primitiva veramente belle. Le possibilità per alloggiare sono diverse; io vi consiglio di visitare alcune delle tante Kasbah che offrono camere semplici e pulite, gestite quasi sempre dagli abitanti del luogo, dove vivrete l’esperienza unica di dormire in case di paglia e fango (sono molto calde in inverno e fresche in estate). Nei mesi invernali la temperatura varia tra i 16° sino ad arrivare ai 27/28° di giorno; l’escursione termica notturna é notevole (siamo nel deserto!) arrivando anche ai 2° gradi. In estate le tempeste di sabbia sono frequenti e spettacolari. Da Ouarzazate dovete calcolare circa un ora di auto, da Marrakech all’incirca sei.
Fonte: My Amazighen
Tétouan, piccola Gerusalemme
Le origini della città si perdono nella notte dei tempi; gli oggetti rinvenuti sino ad oggi sono datati verso il III° secolo A.C. e provengono principalmente dalla antica città di Tamuda. Il nome della città, secondo alcuni studi, deriva da “Tittawin” che nella lingua Tamazigh significa “gli occhi” o ancora “le sorgenti”. I Fenici stabilirono un grande magazzino di stoccaggio all’imbocco del fiume Martil. Fu nel 1307 che il sultano merinide Abou Thabef fece costruire la città fortificata di Tétouan con lo scopo di costruire una base avanzata in grado di recuperare Sebta. Popolata da soldati, la città diventò rapidamente un nido fortificato di pirati e davanti ai loro innumerevoli attacchi, gli spagnoli sbarcarono sulla costa e la distrussero completamente. Nel 1492, la caduta di Granada vide l’esodo dal sud della Spagna di migliaia di emigrati musulmani che si installarono nelle rovine della città, rinascendo così dalle sue ceneri e conoscendo in seguito fasti mai vissuti prima. La caduta del reame di Granada segnò la rinascita della città di Tétouan; la sua ricostruzione voluta da Sidi al-Mandri, seguito dai primi Mudèjar che fuggivano dalla Reconquista cristiana, fece della città un luogo d’accoglienza della civiltà andalusa. Protetta dalle barriere naturali di due montagne, aperta sul Mediterraneo, la città offriva una posizione strategica per gli esiliati che non cessavano di respingere la minaccia cristiana. Tétouan è in primis una città andalusa ed è la sola città marocchina costruita esclusivamente da andalusi. L’architettura militare andalusa di Tétouan è un tratto fondamentale della città, la cui ricostruzione all’inizio del XVI°secolo aveva come obbietivo principe quello della difesa contro i portoghesi che avevano già occupato tutte le città marocchine della costa. Beneficiando del vuoto politico che caratterizzava il Marocco di quell’epoca, si creò una città simile a quella che era stata abbandonata. Più dell’architettura, l’arte de vivre tetouanese è segnata dall’eredità andalusa tout court. Questa città chiamata « la colomba bianca » dai poeti arabi, venne designata con termini differenti come « la figlia di Granada » o ancora « la piccola Gerusalemme ». Diventò un luogo di incontro per diverse popolazioni, religioni e culture, da quella andalusa alla ottomana, attraversando quella locale ed europea, la cui simbiosi produsse una cultura tetouanese dominata dal carattere conservatore dei suoi abitanti, che assomigliano caratterialmente ai granadini.
La città ha assimilato l’architettura andalusa nei suoi muri, nelle kasbah, nelle sue piccole case e nei suoi palazzi con patio, fontane e giardini, nei suoi minareti, mausolei e fondouks. Il XIX° secolo fu un secolo di decadenza per il Marocco con la conseguenza diretta della penetrazione economica europea. Questa città conobbe la peste del 1800, la terribile carestia del 1825 e la guerra di Tèteouan del 1860 che ne vide la sua sconfitta contro le truppe spagnole che si ritirarono nel 1862, dietro il pagamento di una indennità che rovinò economicamente la città. La decadenza economica di Tétouan iniziò comunque prima della guerra del 1860 e fu causata dagli spagnoli che affondarono diverse navi nell’estuario del porto della città, mettendo fine alle attività marittime della città. Nel XX° secolo Tétouan conobbe un nuovo assetto politico, economico ed artistico diventando capitale del Protettorato spagnolo nel nord del Marocco. La città moderna venne costruita a lato della antica medina. L’Ensache di Tétouan è attualmente un vero gioiello architettonico con le sue strade ed edifici in stile coloniale spagnolo, le sue piazze e i suoi mercati. L’influenza andalusa non è assente; l’interno della cattedrale di Tétouan può essere confuso con l’interno di una moschea andalusa. Le due parti della città si completano, malgrado i loro contrasti evidenti e a volte stridenti. La conservazione e lo sviluppo dell’architettura e dell’arte tradizionale tetouanese deve molto a Mariano Bertuchi, pittore orientalista spagnolo eccelso e grande amante dell’arte marocchina. Fondò il Museo Etnografico e la Scuola delle Arti e Mestieri tradizionali, un gioiello che rappresenta l’aiuto europeo all’arte andalusa di Tetouan, dove si trovano i preziosi ricami nasridi e mudéjar che perdurano nella broderie tetouanese ancora oggi.
Fonte: My Amazighen
Marocco, case da segno tra Atlantico e Mediterraneo
Tra l’Atlantico e il Mediterraneo, circondati da spiaggie e falesie, questa case da sogno godono di una vista a 180°, imprendibile e mozziafiato.
A seguire un Best of sulle più belle residenze marocchine del nord.
Se Tangeri potesse raccontarsi lo farebbe attraverso le mille e una residenza che bordano le sue rive atlantiche e mediterranee. La Maison de l’Eléphant Blanc, incastonata sulle alture di Tangeri, possiede una delle viste più incredibili della città. Tony e Khera, viaggiatori del mondo, hanno scelto: si sono installati laggiù dove l’oceano e il mare si incontrano; lo stretto di Gibilterra. Letteralmente affascinati dalla natura a metà strada tra la Sardegna e la Grecia, hanno gettato le loro basi su due piccoli pensioni di fianco ad una falesia ed hanno creato la Maison de l’Eléphant Blanc. Addossata alla kasbah e rivolta verso lo stretto, la sua terrazza di 240 mq già da sola è tutto un programma; imponenete belvedere, ci si sente come su di una nave che attraversa le turbolente acque dell’oceano atlantico-mediterraneo, guardando Tarifa negli occhi, avvistando una leggendaria Atlantide, legittima in questi luoghi. L’interior design predilige il total white che si sposa con una architettura contemporanea e di una allure prestigiosa acquisita in toto dalla città secolare. Ceramiche bianche e nere rivestono la parte inferiore del muro della scala e vetri rossi, gialli e blu sono stati aggiunti per un tocco meticcio al luogo, ricordando le origini siriane e spagnole di Khera e Tony. Le sette suites della casa non lesinano sul lusso né sul confort, premiando questa dimora come una delle più belle della Dream City. Si ritrova al suo interno la maestosità ed il mistero che il suo nome lascia immaginare. La Casa dell’Elefante Bianco puo’ accogliere sino a 12 persone che avranno a disposizione, tra le altre cose, di un Hammam privato, di un personale attento e discreto e di uno sguardo personale sulla Spagna vicina, sul cielo e sul mare intatti e profondi.
Tangeri non ha ancora terminato di elargire tutto il suo charme quindi i promotori immobiliari hanno ora preso d’assalto le zone che circondano il capo Malabata : un corridoio sempre affascinante e una foresta ancora intatta. Balcony è il frutto di un brainstorming tra il promotore del progetto e Patrik Collier, architetto francese che esercita in Marocco dagli anni ’70. Il suo approccio a capo Malabata è stato “un atto di umiltà verso il sito, l’ambiente circostante, la dimensione culturale e alle tecniche costruttive“. Innamorato follemente della zona, Collier ha immaginato un complesso dove “l’outdoor” non è solo un espressione dei tempi. Tutta la costruzione si sviluppa attorno a diverse terrazze che regalano agli occhi la baia di Tangeri, il suo porto e la Kasbah. Nel parco del Soussa-Massa invece, Nasser Laraki ha fermamente voluto e pensato un luogo che dispensa le delizie del cocooning, in una maison d’hôtes che sprigiona una allure di kasbah, battezzata Ksar Massa. La maggiorparte dei proprietari di maison d’hôtes opta per una architettura balneare ricordando sempre la vicininza del mare; Nasser ha voluto integrare una visione messicana nel suo progetto. Tra Agadir e Tiznit, la maison d’hôtes si estende lungo una spiaggia selvaggia e come sfondo, altamente scenografico, la catena maestosa dell’Anti-Atlas. Dune che riversano in mare i loro granelli di sabbia, piste affascinananti in un paesaggio desertico del sud atlantico, tra blu e bianco, beige e verdi intensi. Materiali semplici, facili a posare e da mantenere, con il ricorso della mano d’opera locale. Il pavimento in cemento colorato e i muri in calce o di tadelak creano una contemporaneità certa e riconoscibile. Esteriormente la pietra dell’Ourika è regina, suadente ed elegante. Rivolta verso l’Atlantico, maison d’hôtes, casa provata, bivacco e appartamenti, questo luogo da prova di tutto il savoir-faire delle maestranze marocchine, garantendo un livello di confort essenziale a questa oasi di pace. Ksar Massa coniuga piacere e “dolcefarniente” lasciando dentro l’anima l’impressione di essere sospesi tra il cielo e il mare.
Fonte: My Amazighen
Sahara, deserto di anime e colori
Per molti il Sahara si trova in Algeria; errato. Il Sahara marocchino offre ai suoi visitatori una ampia gamma di paesaggi molto diversificati tra di loro: oasi di tutte le forme e dimensioni sono presenti nei principali punti dove sgorgano sorgenti e nelle parte costiera desertica l’elemento principale è il vento sferzante e la bruma atlantica, che offrono un aspetto unico a questi luoghi, offrendo una costa vergine con una luce particolare e affascinante. Il limite Nord del Sahara è soggetto a discussioni: alcuni lo situano ai bordi di Guellemin e Ouarzazate (a partire da 100 mm di pioggie annue), ma altri pensano che il Sahara inizi più a Sud, a partire da Tan-Tan e da Zagora, sopra i 50 mm di pioggie annuali. Da tenere presente comunque che possono passare anche alcuni anni di siccità totale prima di vedere qualche mm di pioggia. Le temperature estive sahariane sono elevate al Nord con punte di 50° mentre nelle zone costiere non si soffre di caldo. In inverno nella parte Est di Zagora il gelo è frequente mentre altrove le temperature sono clementi. Il Sahara non era cosi’: i letti dei fiumi ancora presenti sono ampi e le pioggie modeste degli ultimi secoli non sono state in grado di scavare queste profondità e larghezze: le incisioni rupestri, in particolare nella regione di Tata, rappresentano una fauna selvaggia (elefanti, tigri, leoni, rinoceronti) che esigeva per il loro sostentamento ampi pascoli verdi. Ci sono stati periodi più umidi, l’ultimo datato tra i 1.000 e i 3.000 anni P.C.. Dopo di questo gli uomini hanno dovuto adattarsi e gli allevatori di bovini migrarono verso il Nord (nel periodo almoravide un enorme ondata di popolazione sahariana si sposto’ verso quei luoghi), quelli che rimasero riconvertirono i loro allevamenti con i dromedari e le capre. Queste variazioni climatiche sono state legate sino ad oggi a dei fenomeni planetari naturali. L’effetto serra odierno, dovuto alle emissioni di gas nell’atmosfera stanno provocando un effetto antagonista: un aumento delle pioggie ma in egual misura una evaporazione più forte dell’acqua disponibile nel suolo. La causa maggiore, attualmente, della progressione del deserto verso Nord è dovuta all’aumento della popolazione umana e le sue ripercussioni devastratici sull’ambiente. Primo disastro è stata la scomparsa di molta fauna sahariana. Sono sparite le grandi antilopi, come l’Oryx e l’Addax, la gazzella dama e lo struzzo. Ghepardi e iene sono minacciate di estinzione. Anche la gazzella Dorca, tanto presente negli anni ’50 è diventata rara: è troppo facile cacciare in 4X4!! Solamente la piccola fauna riesce a mantenersi viva nei grandi Ergs come il Fennec che esce allo scoperto per cacciare la notte. E poi i nomadi. Quelli autentici si incontrano a partire dalla regione di Zagora, insieme agli “Aarib” (arabi sahraoui della regione di Mhamid).
Di fatto i nomadi attuali vivono nel Sahara occidentale ed appartengono a diverse tribù di cui le più importanti sono quella di Tekna ( da Guelmim a Laayoune), i Reguibate(regione di Laayoune, Smara e più a sud) e quella dei Oulad Delim (presenti a sud di Dakla). Tutte queste tribù parlano un dialetto arabo, “Hassanya“, ugualmente utilizzato in Mauritania. Storicamente sono chiamati uomini blu per via dei loro abiti colorati con l’indigo, che col calore passa sulla pelle, riflettendo quel tipo di blu ma, nella realtà i Tuareg originali sono completamente assenti dal Marocco. I nomadi vivono nelle “Khaiime”, tende montate su una struttura formata da due colonne di 2 mt di altezza, che sostengono una barra in legno scolpito, l’Ahammar. Questo portico in legno è poi sostenuto da una banda di tessuto legata a dei picchetti con corde e funi. Le tende sono formate da bande di tessuto di lana nere e marroni di 40/60 cm di larghezza per 6/10 mt di lunghezza. Queste bande in lana di capra o di cammello sono chiamate “Flijs”,e sono tessute dalle donne con un telaio orizzontale. Una tenda media misura 25 mq e necessità di una decina di Flijs, solidamente cuciti tra di loro dagli uomini. Tutto intorno i picchetti tendono la tenda a circa 80 cm dal suolo lasciando circolare l’aria. Il portico centrale divide la tenda in due parti: quella delle donne, sovente nascosta ad occhi estranei con tende sottili, che contiene tutti gli utensili necessari e la parte maschile, dedicata agli uomini ed aperta ai visitatori. Tappeti molto alti sono sparsi ovunque a ricoprire il suolo ed isolare dal freddo in inverno. La zona più spettacolare del Sahara marocchino si trova nei pressi di Merzouga/Erfoud/Zagora dove inizia l’Erg Chebbi. Una distesa di sabbia con dune alte anche sino a 50 mt, che cambiano posizione in base alla velocità del vento. Il sole riesce, con una ammirabile alchimia, a cambiare il colore di queste dune, in base alle ore e alla esposizione. La notte magica dell’Erg Chebbi diventa ancora più magica sotto un portico di stelle che si immagina di toccarle tanto sono vicine. Scrivero’ sull’Erg Chebbi in una pagina a parte perché ne vale realmente la pena visitarlo ed averlo poi come un ricordo unico e prezioso del Sahara marocchino.
Fonte: My Amazighen