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Necropoli Saadita, opera d’arte del Marocco
Quando il sultano El Mansour, il “Dorato“, morì, il suo corpo venne portato a Marrakech. Lungo viaggio. A causa della insicurezza del Paese, per evitare le tribù della montagna, le carovane passarono per Rabat e seguirono poi le rive dell’Oceano. Il corpo del “Dorato” fu deposto in una tomba della necropoli, costruita dai saaditi, che ad oggi è riconosciuta come una delle più alte opere d’arte del Marocco, forse dell’Africa del nord. Questa importante necropoli venne scoperta dal maresciallo Lyautey durante un soppraluogo aereo sulla città di Marrakech ai primi del ‘900 . Tutta la struttura era stata mascherata da un alto muro per renderla invisibile: questo avvenne durante il dominio alawita sotto il comando di Moulay Ismail, che non lo distrusse per la paura di profanare un luogo di sepoltura. Sotto il dominio saadita del sultano Moulay Ahmed al-Mansour (1574-1603) si dispose la costruzione per accogliere la salma della venerata madre, Lalla Messaouda, nel 1591. La necropoli è situata a lato della moschea della Kasbah e ci siarriva percorrendo uno stretto e lungo corridoio anonimo. Il mausoleo principale, a sud, con una splendida porta in cedro finemente scolpita, è composto da tre sale differenti. La prima, la sala del Mirhab, la nicchia per le preghiere rivolta verso la Mecca, è caratterizzata da un oratorio con tre navate e tre arcate che appoggiano su quattro colonne in marmo. Per accedere alla sala funeraria bisogna oltrepassare una splendida porta scolpita. In questa sala tutte le pareti e i soffiti sono uno spettacolo continuo per gli occhi: legno di cedro, marmi di Carrara, soffiti arricchiti da preziosi muquarnas, zellijg, dorature, e una luce dolcissima che avvolge e sottolinea la preziosità del luogo. Le tombe presenti in questa sale sono dei sepolcri di bambini: il più bello è quello del sultano alawita Moulay al-Yazid (1790-1792). La seconda sala è il clou di tutta la visita e vi si può ammirare al centro, la tomba del sultano saadita Al Mansour. E’ anche la sala più vasta (circa 10 mt su 12) ed è considerata come un vero capolavoro dell’arte ispano-moresca, chiamata la Sala dalle dodici colonne. In questa sala si trovano altre cinque tombe e diverse piccoli sepolcri di bambini: tutti sono ricoperti da un blocco di marmo. Tutta la decorazione è sublime con le dodici colonne da sfondo che donano un eleganza e una potenza rara. Il marmo di Carrara, all’epoca, era acquistato barattandolo con lo zucchero, in egual peso, essendo considerato un bene prezioso e unico. La terza sala detta delle Tre Nicchie contiene esclusivamente delle tombe di bambini. Il secondo mausoleo, a nord, meno importante del primo, ospita la tomba di Lalla Messaouda; è una costruzione quadrangolare di 4 mt su 4 e ingloba in una sala più grande, fiancheggiata da due loggiati e ricoperta dal caratteristico tetto in ceramica verde. La nicchia dove si trova la madre di Al Mansour è interamente decorata ad alveare. I giardini esterni, situati tra i due Mausolei, ospitano le tombe di soldati e servitori, oltre ad alberi, bouganville e rose in fiore. Io consiglio sempre di raggiungere il mausoleo al mattino, verso le 9, per immergersi in un atmosfera di pace e di serenità rara, senza il brusio della folla di turisti che viene scaricata dai bus, rischiando anche di dover mettersi in coda per ammirare le sale.
Necropoli Saadita – Rue de la Kasbah – Kasbah di Marrakech
Fonte: My Amazighen
Musée Yves Saint Laurent, due musei consacrati alle opere del maestro
I due musei consacrati alle opere di Yves Saint Laurent (1936-2008) apriranno le loro porte a Parigi e a Marrakech il 16 ottobre, ha annunciato la Fondazione Pierre Bergè-Yves Saint Laurent. Questi due musei permetteranno alla Fondazione, che conserva 40 anni di creazioni dello stilista, di esporre una parte delle sue collezioni, composte da oltre 5.000 abiti, 15.000 accessori e decine di migliaia di schizzi e immagini. Il museo parigino occuperà la storica maison di avenue Marceau dove dal 1974 al 2002 ha visto nascere le creazioni dello stilista e dove oggi si trova la sede della Fondazione. Su oltre 450 mq, una cinquantina di modelli con relativi accessori, abbozzi, immagini e video, saranno presentati al pubblico che potrà anche visitare gli storici saloni e lo studio di Yves Saint Laurent. Il secondo museo YSL aprirà il 16 ottobre a Marrakech, città che lo stilista scoprì nel 1966 e in cui soggiornò con una certa regolarità fino alla morte. Lo troverete in rue Yves Saint Laurent, nelle vicinanze dei Giardini Majorelle e del Museo di Arti berbere (entrambi curati dalla Fondazione con circa 70.000 visitatori annui). Il museo, di 4.000 mq, è stato pensato come un centro culturale con diversi spazi per esposizioni permanenti, auditorium, biblioteca di ricerca e ristorante. A bientot!
Fonte: My Amazighen
Oukaïmeden, sciare sul Jbel Toubkal in Marocco
Una bella settimana bianca a Marrakech ? Perchè no! A soli 75 km dalla Villa Rouge è possibile sciare in tutta tranquillità, lontani dagli standard europei, certo, ma con il vantaggio della discreta affluenza di pubblico e l’autenticità dei luoghi. Il Marocco si sa è il paese dei contrasti e dei paradossi e, come scrisse il giornalista Marcel Carpozen in uno dei suoi articoli consacrati alle stazioni di sci e agli sport invernali negli anni ’50, “è difficile per le persone d’oltre mare immaginare di sciare in Marocco, Paese del sole“. Difficile ma provateci! La storia della stazione sciistica dell’Oukaïmeden inizia nel lontano 1936, quando il CAF (Club Alpino Francese) costruì il primo modesto rifugio, che permise una frequentazione più regolare del sito e l’organizzazione dei primi corsi di sci. Nel 1938 venne impiantato il centro militare e nel 1941 uno chalet più spazioso gestito sempre dal CAF. I Campionati di sci del Marocco furono organizzati per la prima volta all’Oukaïmeden nel febbraio 1942. Nel 1948 la prima strada carrozzabile che partiva da Marrakech via Tahannaoute e Sidi Farès, venne aperta e cinque anni dopo due Hôtels e una trentina di chalets privati furono costruiti. Nel contempo alcune strade interne alla valle vennero progettate con gli scavi e il passaggio dell’acqua e l’elettricità e infine le prime due seggiovie; la prima chiamata del “Chouka” ( lunghezza di 1.100 mt con un dislivello di 380 mt) e quella media ( lunghezza di 297 mt con un dislivello di 78 mt). Con queste due opere furono costruiti due trampolini di salto. Nel 1963 la stazione dell’Oukaïmeden si dotò di una seggiovia lunga 1960 mt con un dislivello di 620 mt, capace di trasportare 600 persone all’ora e nel contempo vennero intrapresi numerosi lavori di consolidamento e un nuovo centro nazionale di elettricità che, incoraggiò la costruzione immobiliare e la frequentazione turistica.
Nel 1965 la nuova strada d’accesso dalla valle di Ourika venne inaugurata e permise di raggiungere facilmente la stazione che venne dotata di altre due seggiovie supplementari nel 1967 e di un segnale telefonico automatico. Nel 1992, la cima dell’Oukaïmeden venne dotata di un teleski con uno chalet ristorante e una serie di tavole di orientamento. Le piste oggi coprono una superficie di 300 ettari concentrate sul fianco nord della montagna, situate tra i 2.620 e 3.270 mt di altitudine. Gli impianti sono praticabili da metà dicembre sino al fine marzo ma è bene informarsi prima dello stato di innevamento della montagna, non sempre garantito. Il 75% delle piste hanno grandi difficoltà tecniche, quindi sono indirizzate esclusivamente a ottimi sciatori; il resto è dedicato ai principianti e agli sciatori di media capacità. Ovviamente le piste e le risalite non sono ancora numerose e la città di Marrakech ha garantito il suo sostegno economico per attuare diversi progetti in fase di studio e realizzazione. La cosa più importante da sottolineare credo sia il contrasto totale di una città come Marrakech, esotica e calda, e la possibilità di sciare ad un ora appena di auto. Per chi cerca luoghi “fashion”, l’Oukaïmeden non è il posto giusto; S.Moritz, Cortina o il Sestriere non hanno nulla da condividere con questi luoghi; qui la natura regna sovrana e si possono scoprire villaggi di terra innevati, gente umile che vive con poco, panorami mozzafiato e cordialità. Alle partenze degli skilift ci sono anche i muli, bardati alla berbera, e con pochi dirham potrete farvi trasportare sulle piste, rivivendo tempi passati e lontani, tempi carichi di atmosfera e serenità dove il legame con la natura era forte e coinvolgente. Proprio come oggi sull’Oukaïmeden, non si sà sino a quando purtroppo. Attualmente l’ingresso alla stazione costa circa 20/30 dh ( 2/3 euro), il semigiornaliero per gli impianti costa 30/50 dh (3/5 euro), il parking auto giornaliero costa circa 3 dh ( meno di 30 centesimi di euro) e un buon pasto a base di tajine costa 50/80 dh.
Informazioni pratiche:
Rifugio CAF – tel. 024 319036 Prezzo adulti per notte circa 110 dh ( 10 euro) – il rifugio dispone di 158 posti letto di cui 76 in camere da 4/8 persone, docce e servizi igienici, salone bar, refettorio, TV, biblioteca, sala giochi.
Auberge de l’Anghour (per gli amici Chez JuJu) – 024 319005 – dal 1947 una tappa obbligatoria anche solo per gustare un ottimo pranzo. Aperto tutto l’anno. Camera doppia standard 900 dh (90 euro circa).
Hotel Le Courchevel – 024 319092 – la camera doppia con prima colazione 900 dh (90 euro circa). All’interno del parco sono in fase di ultimazione una serie di bellissimi bungalow in legno con grandi vetrate sulla montagna.
Fonte: My Amazighen
Azemmour, memoria storica del Marocco
Le guide turistiche la menzionano appena, gli automobilisti pressati ci passano attorno senza entrarvi, i bambini la disertano: Azemmour conta poco nella geografia marocchina. Una tale mancanza davanti ad una vecchia signora è rivoltante. Lo sguardo fisso sulle acque irradiate del Oum Errabi, dove si specchiano le antiche glorie e si ruminano amarezze. Azemmour non ha vissuto per questa infamia. Poi si consola e si dice da sola che è sopravvisuta alla sue sorelle in eterno splendore, sorelle come Tit, Lixus, Chellah e Medhia. Dopo che queste città sono sprofondate nelle sabbie mobili della Storia lei tiene ancora, malgrado le ferite inflitte dal tempo. Dall’alto della sua immemorabile nobiltà guarda El Jadida e Casablanca che, insolentemente, mostrano i loro segni esteriori di ricchezza. Azemmour si ostina, con tenacia, a non voler dimostrare i suoi anni. I Fenici la coprirono di elogi chiamandola Azama. I Cartaginesi vi gettarono l’ancora, conquistati dalle sue ricchezze. I Romani se ne impadronirono e svilupparono la pesca alla trota salmonata, che si riproduceva nell’estuario dell’Oum Errabi. Prima ancora non si possono attribuire paternità ad Azemmour; le radici del toponimo Azemmour, in berbero, riporta alle olive selvatiche, e lo storico Brahim Boutaleb sostiene che questa città è berbera di nascita. Testi antichissimi stabiliscono che fu popolata dai Bacuates. Questa tribù non è altro che quella dei Berghouata, una delle tante tribù Masmouda, installatasi durante i secoli nei territori Doukkala. Quandol’Islam si spanse nel resto del Paese, i Berghouata entrarono in disaccordo. Non rigettando la nuova religione ma reinventadone i dogmi e i riti, con il Libro Sacro in lingua amazigh e un credo ritagliato. Ma prendendo sempre più spazio la tribù sahariana dei Sanhaja, capitanata dagli almoravidi Abdallah Ibn Yassine e Youssef Ibn Tachfine, cacciarono gli eretici in nome di una nuova ortodossia. Una volta ristabilita trovarono un sant’uomo, di nome Abou Chouaîb Ayyou Ibn Saîd Sanshaji, per radicare la vera fede ad Azemmour. Solo gli specialisti conoscono il segreto dell’arrivo di Abou Chouaîb dai confini del Sahara a Azemmour. Per i comuni mortali è il Patrono, quindi ricevette la Baraka (benedizione). Sulla strada che porta al suo Santuario un folla colorata e chiassosa si attarda davanti ai banchi dai commerci più disparati. Conflitto nella devozione, il santo fece voto di castità pertanto si declama la sua virtù nel rendere fecondi i ventri sterili. E’ chiamato “il donatore di bambini“e a questo titolo il suo Mausoleo è preso d’assalto dai “veggenti” che in cambio di un offerta assicurano un miracolo tramite Moulay Bouchaîb. Ma ne sono capaci? Per gli azemmouri la domanda è superflua, perchè secondo alcune storie, ben radicate, Moulay Bouchaîb è un dispensatore di miracoli. E tutti citano volentieri la leggenda secondo la quale apparve in sogno al santo una bellissima donna, che abitava nella lontana Baghdad: Lalla Aîcha Bahria. Con la forza delle preghiere la donna del sogno arrivò a Azemmour. Nel momento sbagliato perchè uncorso d’acqua si mise sul cammino dei due sospiranti dividendoli per sempre. Vissero, e poi morirono, ognuno sulla propria riva. Sotto gli Almoadi e i Merinidi, Azemmour conobbe una prosperità senza eguali. Una volta condotta sul giusto cammino, Azemmour divenne la città favorita dei sultani.
Sotto il regno dell’almoade Abdelmoumen e del merinide Abderrahman, mise a frutto le sue innumerevoli risorse: l’agricoltura, l’artigianato, la pesca e la borgata divenne una sorta di metropoli per la regione intera. Seguì una lunga epoca di prosperità, furono secoli d’oro. I portoghesi, che occuparono Mazagan e Safi, non poterono restare indifferenti alla splendida città, dove i suoi frutti divennero appetibili e in specialmodo la pesca florida . La città venne assalita nel 1508, senza risultati. Tornati alla carica nel 1513 i portoghesi vinsero ma dopo 30 anni vennero cacciati. Estevanico, nato a Azemmour intorno al 1503 venne venduto come schiavo ad uno dei quattro comandanti della spedizione di Navaez che sbarcò sulle coste della Florida(Cabeza de vaca). Fu il primo, insieme agli atri Conquistadores, a scoprire e attraversare l’Arizona e il Nuovo Messico. Venne ucciso dagli indiani Zuni a Cibola (una delle leggendarie 7 città d’oro) nel 1539. Le tracce del passaggio dei portoghesi sono evidenti: robuste mure che circondano la vecchia medina, cannoni ovunque che sembrano pronti al tiro a vista sugli eventuali conquistatori. Entrare nella medina è come bagnarsi in uno charme vetusto che si esala da ogni cosa, strada o casa che sia. Tutto qui respira l’antica aria portoghese: portali in cedro dipinto, facciate ornamentali geometriche in pietra, forme cubiche delle case. E poi i nomi delle strette strade che evocano mestieri antichi: alkarraza (i cordai), addarraza (i tessutai), alkhayata (i sarti). Tutte le arti sono state coltivate a Azemmour, in particolare quella della fabbricazione delle babouches, dei tappeti, dei ricami, della gioielleria e delricamo e in queste ultime due gli ebrei erano i maestri assoluti. L’occupazione portoghese ha segnato profondamente e indelebilmente la città. Quando i Fenici, trenta secoli fa, abbordano le rive di Azemmour, alcuni mercanti ebrei erano al loro seguito. Alcuni di loro non ripartirono. I loro discendenti si specializzarono nel commerciodelle trote salmonate, che si spinse verso Casablanca e Mazagan. Della presenza ebrea non restano che poche vestigie tra cui un cimitero sulla riva sud del Oum Errabi, dove le tombe crollano e si distruggono sotto le cattive erbe. Nel quartiere ebreo, lamellah, che non si distingue più dall’altra medina, è visibile la nicchia del santuario del rabbino Abraham Moul Ness, un taumaturgo “inventato” negli anni ’40 e ancora oggi manifestamente visitato. A lato un edificio semidistrutto dove si intravedono, dalle grate delle sue finestre diroccate, alcuni candelabri a sette diramazioni, chiamati menorah. Sinagoga o casa di famiglia? Nessuno lo sa. L’epoca d’oro poi terminò. Di fatto, dopo aver cacciato gli spagnoli da Mazagan, città vicina, il sultano alaouita Sidi Mohammed Ben Abdallah decise di aprire il Marocco al commercio atlantico. Con questa misura città come Mogador (Essaouira), Safi, Casablanca, Larache e Tangeri ebbero un enorme profitto. Per Azemour il numero troppo alto di navi e battelli che solcavano l’estuario del fiume da e per l’Atlantico, divenne insostenibile. Il suo porto fu condannato all’oblio per la difficoltà che creava alle navi. La città dovette contare null’altro che sull’agricoltura e la pesca alle trote per sopravvivere. Così la trovarono i francesi all’inizio del loro protettorato: una città piegata su se stessa, troppo incollata al suo passato per occuparsi dell’avvenire. Più le colonie la disertarono più rinforzò il suo lassismo, restando ai margini della modernità, guardando la sua gloria passata. Azemmour si piegò ma non si spezzò grazie alle trote che frequentavano il suo estuario. La costruzione poi della diga di Sidi Maächou gli regalò il colpo di grazia; migliaia di pesci di mare rimontarono il fiume due volte all’anno per riprodursi creando scompensi del delicato ecosistema della trota. Privata della sua ultima risorsa Azemmour cadde nell’oblio. Da allora la disperazione si accompagnò alla città come una cattiva ombra. I viaggiatori che si avventurarono, sovente per inavvertenza, rimasero colpiti dalla desolazione lampante e oggettiva che si scorgeva, per l’incuria che avanzava. Azemmour era, sino a qualche anno fa, l’ombra di se stessa.
Oggi, faticosamente, sta rimontando la china con orgoglio e memoria storica. Il suo sito incomparabile, i suoi tesori monumentali e la sua reputazione di musa di grandi pittori non meritano una sorte crudele. Il turismo si sta facendo strada; surfisti, semplici viaggiatori, appassionati d’arte, arrivano alla chetichella per ammirarla in tutto il suo splendore. Architetti famosi e pittori illustri hanno convertito delle decrepite dimore in Riad spettacolari, alcune gallerie d’arte sono state create nella medina storica e, cosa fondamentale, un piano di turismo della città è stato sviluppato. Ilrinascimento di una città antica, carica di memoria e talmente affascinante da sembrare irreale, sta sorgendo dalle sue ceneri per svelare i suoi misteri e le sue glorie ai visitatori del mondo.
Info pratiche: Azemmour dista un ora da Casablanca. Pernottamento presso alcuni riad Maison d’Hôtes nella medina antica (non necessita prenotare), vi consiglio il Riad Azama, sull’estuario del fiume con vista sull’Oceano Atlantico (prezzi circa 90 euro la camera doppia con prima colazione).
Fonte: My Amazighen
Sloughi, dono di Allah
E’ rapido come una freccia. Alla velocità della luce blocca la sua preda e attende con calma l’arrivo del suo padrone. E’ quest’ultimo che ucciderà il selvatico, perchè è così che vuole il Profeta. Anche il poeta arabo Abu Nuwas (757-815 d.C.) rese omaggio allo Sloughi dopo essere stato ospite di una tribù di Beduini, dove questi cani godevano di un trattamento di favore. Dieci secoli dopo, il generale di divisione francese Eugéne Dumas, direttore degli Affari dell’Algeria e console di Francia dal 1837 al 1839, a lato dell’emiro Abd-el-Kader, divenne testimone del ruolo tenuto da questi levrieri nella vita dei Beduini. “Nella tenda, lo Sloughi dorme vicino al suo padrone sotto una coperta che lo protegge dal freddo. Al collo, indossa collari preziosi e portafortuna“. Nelle tribù, questi animali ricevono i migliori alimenti disponibili e, se necessario, le donne allattano i cuccioli in difficoltà. Alla morte di uno Sloughi tutti piangono come se avessero perso uno dei loro famigliari. Un beduino era considerato un uomo ricco, di successo, quando possedeva tre cose: un falco potente, un cavallo nobile e uno Sloughi. Gli uomini attraversano il deserto a cavallo, i loro cani sistemati sulla sella e il falco appollaiato sul braccio. Un flebile fischio del cavaliere e il falco si invola alla ricerca dei una preda: gazzella, lepre, volpe del deserto. Dopo che il rapace individua il selvatico e lo abbatte con i suoi artigli giunge il momento di lasciare il cane. Quest’ultimo si lancia in una corsa irrefrenabile mentre il falco tenta di fermare il selvatico attaccandolo alla testa. Se il falco fallisce, il cane solo prosegue la sua corsa, anche per ore, sino a raggiungere ed abbattere la preda stremata. Con la sua anatomia, forgiata nel deserto, nessun animale di quei luoghi è più rapido e più perseverante di uno Sloughi. Mentre i cani, considerati come dei bastardi di strada, non hanno vita facile nei paesi islamici (se un credente ne tocca uno dovrà lavarsi le mani per sette volte ) gli Sloughi beneficiano di un aura particolare. Sono considerati degli animali puri e nobili: “Il levriero è un dono di Allah, è la nostra ricchezza, toccandolo ne siamo onorati“, dicono i beduini. La sua reputazione ovviamente è dovuta alle sue doti straordinarie di cacciatore, che permette ai beduini di mangiare carne malgrado le difficoltà di vita presenti nel deserto (oltre i 60° di giorno e 0° la notte). Ma il principale motivo della sua estrema popolarità è riferita alla sua leggenda, che si tramanda da secoli. Si dice infatti nel Corano che uno Sloughi, chiamato Kitmir, vegliò 309 anni il sonno dei sette martiri dormienti (Efeso). Per aver compiuto questo dovere, Maometto accordò al levriero di entrare nel Paradiso. “Ecco perchè lo Sloughi è considerato come il cane di Maometto“, concordano diversi allevatori marocchini. Ed ecco perchè in Africa del nord, lo Sloughi resta un cane difficile da acquistare. Tre Sloughi vivono a Palazzo con il re Mohammed VI e quando il sovrano dorme, i cani vegliano il suo sonno nell’anticamera e neppure le guardie del corpo possono a quel punto entrare, racconta un allevatore marocchino: ” Il contatto millenario con gli uomini ha sviluppato in loro il dono di poter leggere nel pensiero degli umani; si ha quasi l’impressione che questi cani sappiano quando qualcuno ha delle cattive intenzioni”.
Fonte: Sloughi Marocco
Sloughi, cronaca di una scomparsa annunciata
Ho tradotto questo articolo apparso il 2/06/2016 sul quotidiano economico L’Economiste, a firma di Yassine Jamali, agricoltore e veterinario, grande appassionato e il maggiore esperto di Sloughis in Marocco. Altri suoi articoli relativi allo Sloughi e al cavallo arabo sono presenti sul blog.
Meknès, maggio 2016. E’ il Salone Internazionale dell’agricoltura marocchina detto anche SIAM 2016, splendida vetrina dell’agricoltura marocchina, dove l’allevamento la fa da padrone. I numerosi visitatori si accalcano per ammirare i più bei rappresentanti di tutte le specie domestiche allevate in Marocco. tutte…fatta eccezione per due razze canine nazionali: lo Sloughi e il pastore dell’Atlas. E non è la prima volta. Successe nella penultima edizione del 2015 dove le due razze canine erano assenti pur essendo incontestabilmente parte integrante del patrimonio zootecnico e culturale del Marocco. Inoltre, i loro standard (descrizione delle caratteristiche della razza) e il loro Libro delle Origini, una sorta di stato civile, sono stati consegnati al Marocco dalla Federazione Cinologica Internazionale (FCI) e il nostro paese è quindi il nucleo ufficiale e il principale responsabile della preservazione e dello sviluppo dellle due razze canine nazionali. Per lo Sloughi, questa assenza deplorevole è l’esito di un inesorabile degrado della situazione, nel Maghreb e all’estero. La legge coloniale imposta dai francesi interdisse la caccia tradizionale con lo Sloughi ed è tutt’ora in vigora; cacciare con uno Sloughi è passibile di una pesante ammenda, oltre 10.000 Dh (ndr: circa 10.500 euro). L’assorbimento dello Sloughi meticciato con il galco spagnolo, tocca ancora oggi tutti i luoghi reputati allo Sloughi, dal Gharb al Souss-Massa. Gli Sloughis di pura razza sono nettamente inferiori come numero in Marocco rispetto ai galco e incroci galco!. Ad oggi stabilire un numero esatto di presenze di Sloughi in Marocco è difficile se non impossibile: i raduni regionali organizzati dal Club marocchino dello Sloughi sono cessati senza spiegazioni, cosa che permetteva di valutare la popolazione sul piano qualitativo e quantitativo oltre a permettere l’iscrizione dei soggetti più importanti nel Registro Iniziale Marocchino (ndr: RIM – equivalente del nostro LIR). Per gli allevatori era anche l’occasione di reperire soggetti promettenti per un futuro da stalloni o fattrici selezionate. I raduni sono la pietra angolare per la salvaguardia dello Sloughi. Per sopperire la mancanza dei raduni alcune associazioni locali si sono organizate e diversi “Moussem” sono nati raccogliendo, tra il 2009 e il 2014 a Meknès, a Chemmaia, a Sidi Mokhtar, a Ouled Dellim, oltre 100 esemplari per ogni singola manifestazione. Punto dolente: nessun giudice abilitato era presente. Ora, un raduno,se non è accompagnato da una iscrizione del giudice al RIM per i soggetti validi presenti è totalmete inutile dal punto di vista della preservazione della razza, qualunque sia l’impegno profuso dagli organizzatori.
Da notare che in Marocco esistono solo due giudici abilitati per gli sloughis (a titolo di comparazione in Francia sono undici). Nelle esposizioni all’estero, da molti anni, vengono presentati Sloughi con tacche bianche sul petto che sono accompagnate da unghie bianche, grave difetto ereditario che deve essere penalizzato. Molte polemiche su questo argomento si sono alzate in Europa, in primis in Francia, e le associazione e i club di razza si sono rivolte verso il paese che detiene lo standard, il Marocco, chiedendo un giudizio arbitrario. La questione resta in sospeso nell’attesa di una decisione finale e ufficiale del paese detentore dello standard. Alla fine del 2004, una carovana organizzata da una associazione per la salvaguardia dello Sloughi e alcune associazioni locali poterono iscrivere al RIM circa 130 Sloughis, su circa 1.000 soggetti presenti. Queste azioni dovrebbero essere ripetute regolarmente per catalogare e registrare gli ultimi soggetti presenti in purezza e arricchire la genealogia della razza. Tutte le esposizioni canine in Marocco dovrebbero cercare di migliorare la visibilità delle due razze nazionali ma in realtà lo Sloughi è rappresentato da una dozzina di soggetti ogni anno di cui la metà originaria dell’Europa. Eccezionalmete la carovana del 2015 ha visto la presenza di un centinaio di Sloughis, fatto che inspessisce la speranza per questa razza ma purtroppo l’edizione 2016 ha visto la presenza di solo 15 soggetti. Per affrontare questa problematica è necessario organizzare altre carovane ed esposizioni di razza, formare giudici preposti alla conferma alfine di aumentare le iscrizioni al RIM, sotto la responsabilità di almeno due giudici abilitati. Un altra prospettiva da offrire ai Club dello Sloughi o a tutte le altre strutture cinofile desiderose di operare per lo Sloughi è una riscrittura dello standard. La suaprima versione è datata 1938, redatta da alcuni cinofili francesi…lavorando per osservazione diretta dei soggetti da loro presentati (non sempre di pura razza)…nè praticando la caccia tradizionale e senza consultare l’immensa riserva umana di sapere empirico creata da millenni di pratica e di osservazione quotidiana dello Sloughi. Qualche correzione è stata apportata ma nessuna di questa ha integrato il sapere tradizionale. Inoltre si possono trovare notevoli divergenze tra lo standard moderno, ufficiale, e il suo equivalente tradizionale, ancestrale, orale.
Prima differenza: protuberanza occipitale esterna. E’ un bozzo sulla nuca che i cacciatori attendono lo sviluppo con impazienza. Lo standard ufficiale la descrive al contrario come cancellata, estinta. E’ generalmente sviluppata in alcuni razze canine come i bracchi, alcuni levrieri e sopratutto…i canidi selvaggi. Si tratta di un carattere anatomico arcaico, volutamente conservato dall’empirismo dei cacciatori, non senza ragione certamente.
Seconda differenza: la coda, chiamata “fouet”. I cacciatori tradizionali verificano la sua lunghezza e la portano tra le cosce per farla risalire verso le anche, dove deve oltrepassare o al più attestarsi. Inoltre, deve presentare sulla sua sommità un anello terminale chiamato tradizionalmete “sfenja” (bignet) o khatem (anello). Secondo lo standard moderno” è presente una curva accentuata”. Questo famoso “anello” terminale ha la sua ragione di esistere: rivela una forte tonicità dei legamenti della coda e di tutto il corpo, garanzia di solidità delle articolazioni.
Fonte: Sloughi Marocco
Yves Saint Laurent, maestro indiscusso della moda internazionale
Il 1 agosto 1936 nasceva Yves Saint Laurent, maestro indiscusso della moda internazionale. Tre lettere sovrapposte: Y S L. La griffe leggendaria dell’Haute Couture prosegue il suo viaggio inarrestabile anche dopo la scomparsa del suo creatore, Yves Saint Laurent. Marrakech ha onorato il maestro qualche anno orsono, con una restrospettiva dedicata ai lavori ispirati dal Marocco (una quarantina, oltre ad audiovisivi, immagini e oggetti). Un omaggio dovuto; qui lo stilista ha vissuto dal 1967 sino alla sua morte nel 2008 e le sue ceneri sono state sparse nel giardino Marjorelle che tanto ha amato. Un viaggio straordinario quello di YSL che dalla natia Orano, Algeria, lo porta a Parigi nel 1954, dove inizierà il suo viaggio immaginario e immaginato intorno al mondo. Nel 1967 la Maison festeggiò i suoi primi cinque anni di esistenza, coronati di successi e di importanti riconoscimenti alle collezioni definite allora “geniali”. Flirtando con le arie di quei tempi sotto forma di New Look (1962), abiti Mondrian (1965) o cappotti Pop Art (1966), Yves Saint Laurent moltiplicava i suoi sguardi meravigliati sull’arte e sulla cultura del mondo. Nel gelido inverno parigino del 1967 la svolta che lo impose come “ineguagliabile“: primo viaggio con abiti per principesse nubiane dei tempi moderni, chiamati “Bambara“, lavorati quasi al microscopio sulle indossatrici con audaci trasparenze realizzate con finissimi fili di perle. Era l’epoca swinging sixties e la crescita di una nuova cultura, quella della gioventù. L’Haute Couture con i suoi taillleurs, i suoi twin-set, rispondeva a delle convenzioni che stavano sparendo, tea time, cocktail time, ecc.. In quei tempi di grandi cambiamenti la collezione africana di Yves Saint Laurent soffiava come un vento di passione sui cuori ingordi di novità, a colpi di frange in rafia bluette e batiks coloratissimi. Proponeva in primis un’altra idea del lusso, meno ostentato e più vicino al soffio di libertà dell’epoca, la ricchezza del “mondo è nostro“. In questo gli abiti Bambara furono degli autentici fuochi, l’incarnazione di una bellezza senza regole, fatta di spirito e sostanza provocatoria . L’impronta dei costumi tradizionali africani non era solo un flash, una piega alle tentazioni esotiche primarie, ma un appello aperto al metissaggio dei sensi, un gesto estetico perfettamente incarnato dalle modelle nere che possedevano quello che di più magico puo’ avere una donna: il mistero. Non il vecchio mistero incarnato dalle femmes fatales, ma il mistero dinamico delle donne attuali (1).
L’anno seguente la collezione Safari Look dove nacque la mitica “sahariana”. Nel 1976 la collezione “Balletti russi“, considerata dal suo creatore come una delle più belle in assoluto. Poi la superba “Collezione cinese” che rivisitava i classici imperiali in salsa Paris chic, ad immagine del profumo Opium lanciato nel 1977. Seguirono delle collezioni spagnoleggianti che potremo sottotilolare “Corrida d’Amore”, come nel film di Nagisa Oshima, e ancora collezioni marocchine, indiane, un tourbillon sontuoso di colori e di citazioni che riapparsero periodicamente sino al ritiro dell’Haute Couture dalla Maison. Il matrimonio era consumato: Yves Saint Laurent amava il mondo e il mondo amava Yves Saint Laurent. Dal 1983 le retrospettive si sono moltiplicate, 83 in Usa, 85 in Cina e in Russia ben 87. Ma il periodo più fecondo e spirituale prese vita nel 1967 quando avvenne l’incontro decisivo: il suo coup de foudre per il Marocco. Se Orano aveva donato allo stilista un apertura di paradiso perduto, con Marrakech Yves Saint Laurent ritrovò l’eden, la luce. Fu in quel momento che prese piena coscienza del potere dei colori, delle loro potenzialità violente e infinite. Marrakech divenne il suo eremo, un luogo di incontri, la sua fonte di ispirazione. Pierre Bergé dichiarò che “quando scoprirono il Marocco, compresero che il suo cromatismo era quello degli zellijges e degli zouacs, dei hjellaba e dei burnos“. (2) Dopo aver vissuto per una decina di anni nel Dar el Hach, la casa dei serpenti, Yves Saint Laurent e Pierre Bergé acquistarono nel 1980 la villa Majorelle, appartenuta al pittore omonimo. Il blu presente all’interno della proprietà sarà l’anticamera dei “viaggi immobili” dello stilista. Le luci, i colori, le piante, i giardini, la frutta e le spezie saranno una fonte di interpretazione cromatica, sempre più ricca e sorprendente, tradotta in tessuti esclusivi forniti da un complice fedele della Maison, lo svizzero Zumsteg, che attraverso una serie di collezioni superbe offrirà a YSL tutte le tecnologie esistenti in campionature di tessuto con stampe uniche e inimitabili. Il caftano, vestito folk marocchino, trovò una dimensione universale quando venne presentato accompagnato da una preziosa cappa in passamaneria, con broccati lamés, graffiato con tessuti da sera, stampato a disegni floreali o animalier. Lontano dall’essere pretestuoso o svincolante, si proponevano comunque strutture classiche dando diverse alternative agli stereotipi, con l’aiuto di colori proibiti o tagli irregolari. Yves Saint Laurent amava profondamente le donne e le voleva libere nel senso più spirituale e intimo del termine, giocando con l’ambiguità dei sensi e delle forme in un bluff gioioso e alternativo. Fu pioniere nella materia, democratizzando il costume maschile in tutta femminilità, osando le vere trasparenze senza mai pero’ entrare nella volgarità provocatoria di una sessualità esplicita. La maggiorparte dei suo pezzi immaginati per quel “viaggio straordinario” sono dotati di una sensualità animale emanata dalle macchie del leopardo, dal calore della seta e del velours, una eccezione colorata della lotta tra Eros e Thanatos. Margherite Duras disse di Yves Saint Laurent che non faceva “della differenza tra le cose che creava per gli uomini e quelle che creava per gli dei“. (3)
(1) David Teboul, Yves Saint Laurent, 5 avenue Marceau, Edizioni de la Martinière, Parigi 2002
(2) Catalogo dell’Esposizione Yves Saint Laurent: exotisme. Insieme dei Musei Nazionali, Parigi 1993
(3) Yves Saint Laurent e la fotografia di moda, Albin Michel, Parigi 1998
Fonte: My Amazighen
Sloughi, il deserto è la sua casa
Splendida razza di cani, antica e rara, nobile e gentile, che con fierezza estrema vive ancora oggi in condizioni disagiate, nel deserto, per fornire il sostentamento alle ancora numerose tribù di nomadi che si dedicano alla pastorizia, transumando durante i periodi di siccità, percorrendo migliaia di km. Questo superbo animale, il levriero arabo o Sloughi, è un cacciatore e un corridore estremo. La sua velocità calcolata supera gli 80 km all’ora ed è impressionantevederlo correre nel deserto rincorrendo piccole prede come conigli o le gazzelle. Lo sloughi ha una storia antica che parte dall’Asia e che arriva nel nord dell’Africa con l’invasione musulmana, la guerra santa! Si è affinato con il sole d’Oriente e il vento del deserto, questo levriero di suprema eleganza, questo atleta leggero, potente, è stato impiegato nei millenni per la guardia e la caccia, senza ombre di infedeltà e di rinniego. Questa razza canina è stata riconosciuto dalla FCI nel gruppo 10, sezione 3, Standard n.188 e il Paese che ne vanta i natali è il Marocco. Si presenta come il modello perfetto di galoppatore con una testa fine, ammirabile, con cranio globoso e ben fatto. Gli occhi dello Sloughi raccontano di terre lontane, di una melanconia tipicamente araba, di una vita vissuta di ricordi, di lontananze. All’apparenza puo’ sembrare un cane fragile, di cristallo. Niente di più scorretto, l’apparenza inganna. La sua muscolatura lunga, secca, piatta e data dal deserto natale che si è sbarazzato di tutte le masse inutili, ingombranti, creando nel contempo eleganza, rapidità, forza e coraggio. Caratterialmente è un cane equilibrato, calmo e riservatissimo con gli estranei, ma all’occorrenza si difende ferocemente da chi lo attacca. I suoi melanconici occhi diventano allora cattivi e la sua mascella feroce. Nelle tribù nomadi del deserto lo Sloughi è considerato uno di loro, senza remore o gerarchie: se esistono delle situazioni di pericolo per i cuccioli durante l’allattamento questi vengono nutriti dai seni delle donne fin tanto che potranno provvedere a loro stessi, in autonomia. La notte, lo Sloughi è accolto nelle tende con i suoi padroni per riposare dopo una giornata di duro e lungo lavoro, vicino agli umani che da secoli lo hanno allevato, capito, amato, accudito e ringraziato per l’enorme contributo che ha fornito, e continuerà a farlo, al loro sostentamento e alla loro difesa. L’emozione più grande per me è stata durante una delle mie notti nel deserto; la tenda montata e il fuoco che ardeva illuminava lo spazio circostante. Il profumo del thè alla menta offertomi dai nomadi si mescolava a quello degli incensi e le stelle enormi nel cielo mi toccavano. Al moi fianco due sloughi color sabbia mi guardavano, senza curiosità, certi della loro forte presenza al campo. Al momento del riposo, sulla mia brandina, si avvicinarono e si sdraiarono “proteggendomi” per tutta la notte. Si chiamavano Abdor e Njiama.
Fonte: Sloughi Marocco
Marrakech, euforia naturale dei giardini Majorelle
Quando si entra nei giardini Majorelle di Marrakech il primo choc è quello dei colori: il blu oltremare certo, ma anche il verde Veronese o il giallo vivo di certi vasi. Altro fattore di interesse è la villa, la sua estrema modernità senza tempo, ancora oggi senza una ruga: splendida, con una classe e una leggerezza intemporale. Una villa di artisti, sicuro!. Ogni volta poi che si ritorna è sempre una grande felicità trovarsi nel bel mezzo di questa profusione di colori e profumi. Il piacere è grande, il silenzio e lapace in opposizione con la vita tumultuosa e caotica della città, che circonda la struttura. Le panchine disposte nel parco, tra le palme, sono un invito al relax e alla meditazione. Il nome del giardino deriva dal suo creatore, il pittore francese Jacques Majorelle che, nel 1919, si installo’ a Marrakech, conquistato dalla sua luce, dai suoi colori e dal suo modus vivendi.
Nel 1924 acquisto’ un terreno all’esterno delle mura della città, e costrui’ il suo Atelier nel 1937, oggi sede del Museo di Arte islamica. L’artista dipinse la villa con dei colori vivi dove prevalse il blu, il famoso blu Majorelle. La gente, sorpresa da questo colore, lo identifico’ subito come il blu Majorelle, un blu intenso, elettrico, diventato famoso come il colore del pakaging delle sigarette Gauloises. I giardini che circondano l’Atelier vennnero piantumati con differenti specie botaniche, provenienti dai cinque continenti, principalmente cactus e bouganvilles. Tutto questo, più tardi, diventerà il giardino Majorelle. Dopo un incidente d’auto, Majorelle rientro’ a Parigi dove morirà nel 1962.
Dopo la sua morte il giardino rimase aperto al pubblico e subi’ delle forti degradazioni. Nel 1980, Yves Saint Laurent e il compagno Pierre Bergé, che non erano altro che dei visitatori e ammiratori del giardino Majorelle, lo acquistarono. Salvarono questo luogo dalle speculazioni edilizie immobiliari che minacciavano quasi tutti gli antichi giardini di Marrakech. Iniziarono a quel punto i lavori di restauro, con l’aiuto dell’etnobotanico Abderrazak Benchaâbane. Pierre Bergé ricorda: “I giardini Majorelle e noi, una grande storia d’amore. Nel 1966 arrivammo, io e Yves Saint Laurent, a Marrakech. Nove giorni dopo la nostra venuta nella città, acquistammo una casa nella Medina: Dar El Hanch. Ma molto presto noi scoprimmo la città e in primis i giardini Majorelle. Noi sapevamo chi era il pittore in questione e chi fu suo padre(n.d.r – famoso ebanista della grande scuola di Nancy, amico del Maresciallo Lautey; quest’ultimo consiglio’ all’artista di far soggiornare il figlio Jacques a Marrakech, per alleviarlo da gravi problemi respiratori).
All’epoca i soli visitatori erano dei giovani studenti che pagavano l’ingresso con un dirham. Noi andavamo tutti i giorni, poi tutte le sere. Qualche anno più tardi acquistammo una casa proprio di fianco a quel luogo incantato e poetico. Poi venimmo a conoscenza che stava per essere venduto per trasformarlo in un Hôtel. A quel punto lo acquistammo immediatamente“.La vegetazione era lussureggiante, ma anarchica. Si doveva dunque riorganizzare lo spazio e dare un ordine all’insieme. Nel 1999 Bergé penso’ alla ristrutturazione della flora e anche alle modalità di amministrazione del giardino. Nel marzo 2000 si decise per il restauro, dotando il giardino di importanti mezzi operativi. Durante i nove mesi di lavori un èquipes lavoro’ giorno e notte per installare un sofisticato impianto di irrigazione automatica che permise la riduzione del 40% di acqua, permettendo di regolarne efficacemente la ripartizione secondo le ore della giornata e il bisogno specifico di ogni pianta.
Per restare fedeli allo spirito di Jacques Majorelle, autentico appassionato di piante esotiche, la collezione si arrichi’ di numerose specie rare. La flora del giardino passo’ da 135 a 300 specie . Una suberba collezione di cactus (oltre trenta famiglie sono presenti) venne installata su di una parcella molto assolata del giardino. Palme e bamboo vennero importati dall’America Latina e dall’Oceania. L’architetto americano, trapiantato a Marrakech, Bill Willis, modifico’ l‘ingresso del giardino per preservare il suo mistero ( si scopre poco a poco) e successivamente tutto il complesso venne donato dai proprietari alla città di Marrakech e al patrimonio marocchino. Oggi una èquipe di venti giardinieri si occupa della gestione quotidiana del giardino, delle fontane e degli specchi d’acqua. Questo spettacolare giardino si lega indissolubilmente con il grande stilista francese le cui ceneri, dopo la sua morte avvenuta nel 2008, sono state sparse nella parte privata del giardino, situato davanti alla grande villa padronale (non visitabile). Ultimo omaggio alla città di Marrakech, la Ville Rouge, che è stata fonte di ispirazione inesauribile per YSLe la sua Arte.
Giardini Majorelle – Orario Invernale dalle 09.00 al tramonto – Ingresso 30 dh – Museo di Arte Islamica – Ingresso 15 dh – Tel.024 301890 – www.jardinmajorelle.com
Fonte: My Amazighen
Skoura, oasi dalle mille Kasbah
Skoura è una parcella araba in terra berbera, ma fu anche un centro ebreo molto importante, con la sua antica Mellah (quartiere giudeo), con la stessa concezione di società che era presente a Tazzarine, un luogo dove le differenti popolazioni del Draa vivevano in pace ed armonia. Il suo Marabout (santuario/santo protettore), Sidi M’Bark è circondato da un grande agadir (granaio), che aveva lo scopo di proteggere il grano si, ma anche di beneficiare della vicinanza del santo, ed avere protezione spirituale. La Palmeraie di Skoura supera i 25 Kmq, e poi intorno le miniere del sale e ancora i suoi monumenti e le sue Kasbah antiche. Sui vecchi biglietti da 50 dh è impressa la Kasbah più celebre, quella di Amerhidil (su quelli di nuovo corso è stampata invece la Kasbah di Taourit a Ourazazate). Skoura possiede una molteciplità di importanti siti con un passato storico importante per il Paese: Dar Aît Hammou, Dar Aît Sidi El Mati, Tighermt’n Oumghar a Toundout, Dar Aît Sous, Dar Aît Bel El Hussein, Dar Es Sragna, Ksar Oulad Hassane, Dar Aît Attaoui; tanti preziosi castelli/fortezza che fanno la ricchezza di questo sito incantevole.
La Kasbah più alta é quella di Aît Abbou, 26 mt di stupefacente e rara bellezza nel cuore della Palmeraie, un sogno. La Kasbah Amerhidil venne edificata nel XVII° secolosui bordi del Oued (fiume) El Hajjaj, ed è abitata ancora oggi dalla stessa generazione che la costrui’, la famiglia Nassiri. L’attuale proprietario ha creato un piccolo museo dove ha raggruppato molti oggetti artigianali del Marocco del sud e, senza problemi, vi accompagnerà nella visita della sua casa raccontandovi come i suoi parenti vivevano in altri tempi, insieme a gustosi aneddoti tramandati nei secoli. E’ una delle rare Kasbah del sud ad essere in ottimo stato conservativo ed è importante, con la visita, aiutare questo gentile signore con un obolo di ingresso, che servirà per gli innumerevoli lavori sempre in programma. La passeggiata nella Palmeraie di Skoura è d’obbligo, in specialmodo nei periodi primaverili, quando è tutto verde e coltivato. Palme da datteri, alberi da frutto (che sono la ricchezza del Dadès), con le sue mele, i mandorli, le noci, i melograni, i fichi e ai loro piedi grano o erba medica, secondo la stagione. Questa esplorazione nella Palmeraie si puo’ fare a piedi oppure a dorso d’asino, che qui sono numerosi. Il percorso attraversa le parcelle coltivate, ai piedi delle tante Kasbah che incontrerete nel tragitto. A dieci Km circa da Skoura, il piccolo e grazioso villaggio di Sidi Flah, lungo il fiume Dadès. E’ un sito molto bello da visitare in estate, in mezzo alla natura e ai tanti pastori e contadini che lavorano la terra instancabilmente.
Lungo il fiume si formano delle piccole spiaggie dove è possibile fare dei bagni e prendere il sole, che qui già in primavera è caldo. Non dimenticate, se siete una donna, che uscendo dall’acqua è meglio coprirsi con un asciugamano/accappatoio in quanto siamo nel Marocco profondo, lontano anni luce dall’Europa; la vista di una donna in costume puo’ ancora creare imbarazzo a molte persone. Nella vicina Toundout potete visitare le miniere di sale ma la cosa più interessante della zona sono i fossili. Qui è stato scoperto il dinosauro più antico del mondo, il Tazoudasaurus Naîmi, di circa 180 milioni di anni. Tutta la regione, dai contrafforti dell’Atlas sino alle dune sahariane e l’Hammada del Draa, è un museo archeologico a cielo aperto. Tazoudasaurus è partito per la Francia dove verrà analizzato con sosfiticate apparecchiature ma ritornerà in Marocco a breve. E’ in progetto una “strada dei dinosauri” che partirà da Ouarzazate sino a Demnate. A Skoura vi consiglio il souk (mercato) che si svolge ogni lunedi’ dove potrete acquistare datteri unici al mondo per la loro bontà e ceramiche artigianali di fattura primitiva veramente belle. Le possibilità per alloggiare sono diverse; io vi consiglio di visitare alcune delle tante Kasbah che offrono camere semplici e pulite, gestite quasi sempre dagli abitanti del luogo, dove vivrete l’esperienza unica di dormire in case di paglia e fango (sono molto calde in inverno e fresche in estate). Nei mesi invernali la temperatura varia tra i 16° sino ad arrivare ai 27/28° di giorno; l’escursione termica notturna é notevole (siamo nel deserto!) arrivando anche ai 2° gradi. In estate le tempeste di sabbia sono frequenti e spettacolari. Da Ouarzazate dovete calcolare circa un ora di auto, da Marrakech all’incirca sei.
Fonte: My Amazighen