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Yves Saint Laurent, maestro indiscusso della moda internazionale

August 7, 2016 1 comment

ysl

Il 1 agosto 1936 nasceva Yves Saint Laurent, maestro indiscusso della moda internazionale. Tre lettere sovrapposte: Y S L. La griffe leggendaria dell’Haute Couture prosegue il suo viaggio inarrestabile anche dopo la scomparsa del suo creatore, Yves Saint Laurent.  Marrakech ha onorato il maestro qualche anno orsono, con una restrospettiva dedicata ai lavori ispirati dal Marocco (una quarantina, oltre ad audiovisivi, immagini e oggetti). Un omaggio dovuto; qui lo stilista ha vissuto dal 1967 sino alla sua morte nel 2008 e le sue ceneri sono state sparse nel giardino Marjorelle che tanto ha amato. Un viaggio straordinario quello di YSL che dalla natia Orano, Algeria, lo porta a Parigi nel 1954, dove inizierà il suo viaggio immaginario e immaginato intorno al mondo. Nel 1967 la Maison festeggiò i suoi primi cinque anni di esistenza, coronati di successi e di importanti riconoscimenti alle collezioni definite allora “geniali”. Flirtando con le arie di quei tempi sotto forma di New Look (1962), abiti Mondrian (1965) o cappotti Pop Art (1966), Yves Saint Laurent moltiplicava i suoi sguardi meravigliati sull’arte e sulla cultura del mondo. Nel gelido inverno parigino del 1967 la svolta che lo impose come “ineguagliabile“: primo viaggio con abiti per principesse nubiane dei tempi moderni, chiamati “Bambara“, lavorati quasi al microscopio sulle indossatrici con audaci trasparenze realizzate con finissimi fili di perle. Era l’epoca swinging sixties e la crescita di una nuova cultura, quella della gioventù. L’Haute Couture con i suoi taillleurs, i suoi twin-set, rispondeva a delle convenzioni che stavano sparendo, tea timecocktail time, ecc.. In quei tempi di grandi cambiamenti la collezione africana di Yves Saint Laurent soffiava come un vento di passione sui cuori ingordi di novità, a colpi di frange in rafia bluette e batiks coloratissimi. Proponeva in primis un’altra idea del lusso, meno ostentato e più vicino al soffio di libertà dell’epoca, la ricchezza del “mondo è nostro“. In questo gli abiti Bambara furono degli autentici fuochi, l’incarnazione di una bellezza senza regole, fatta di spirito e sostanza provocatoria . L’impronta dei costumi tradizionali africani non era solo un flash, una piega alle tentazioni esotiche primarie, ma un appello aperto al metissaggio dei sensi, un gesto estetico perfettamente incarnato dalle modelle nere che possedevano quello che di più magico puo’ avere una donna: il mistero. Non il vecchio mistero incarnato dalle femmes fatales, ma il mistero dinamico delle donne attuali (1).

L’anno seguente la collezione Safari Look dove nacque la mitica “sahariana”. Nel 1976 la collezione “Balletti russi“, considerata dal suo creatore come una delle più belle in assoluto. Poi la superba “Collezione cinese” che rivisitava i classici imperiali in salsa Paris chic, ad immagine del profumo Opium lanciato nel 1977. Seguirono delle collezioni spagnoleggianti che potremo sottotilolare “Corrida d’Amore”, come nel film di Nagisa Oshima, e ancora collezioni marocchineindiane, un tourbillon sontuoso di colori e di citazioni che riapparsero periodicamente sino al ritiro dell’Haute Couture dalla Maison. Il matrimonio era consumato: Yves Saint Laurent amava il mondo e il mondo amava Yves Saint Laurent. Dal 1983 le retrospettive si sono moltiplicate, 83 in Usa, 85 in Cina e in Russia ben 87. Ma il periodo più fecondo e spirituale prese vita nel 1967 quando avvenne l’incontro decisivo: il suo coup de foudre per il Marocco. Se Orano aveva donato allo stilista un apertura di paradiso perduto, con Marrakech Yves Saint Laurent ritrovò l’eden, la luce. Fu in quel momento che prese piena coscienza del potere dei colori, delle loro potenzialità violente e infinite. Marrakech divenne il suo eremo, un luogo di incontri, la sua fonte di ispirazione. Pierre Bergé dichiarò che “quando scoprirono il Marocco, compresero che il suo cromatismo era quello degli zellijges e degli zouacs, dei hjellaba e dei burnos“. (2) Dopo aver vissuto per una decina di anni nel Dar el Hach, la casa dei serpenti, Yves Saint Laurent e Pierre Bergé acquistarono nel 1980 la villa Majorelle, appartenuta al pittore omonimo. Il blu presente all’interno della proprietà sarà l’anticamera dei “viaggi immobili” dello stilista. Le luci, i colori, le piante, i giardini, la frutta e le spezie saranno una fonte di interpretazione cromatica, sempre più ricca e sorprendente, tradotta in tessuti esclusivi forniti da un complice fedele della Maison, lo svizzero Zumsteg, che attraverso una serie di collezioni superbe offrirà a YSL tutte le tecnologie esistenti in campionature di tessuto con stampe uniche e inimitabili. Il caftano, vestito folk marocchino, trovò una dimensione universale quando venne presentato accompagnato da una preziosa cappa in passamaneria, con broccati lamés, graffiato con tessuti da sera, stampato a disegni floreali animalier. Lontano dall’essere pretestuoso svincolante, si proponevano comunque strutture classiche dando diverse alternative agli stereotipi, con l’aiuto di colori proibiti o tagli irregolari. Yves Saint Laurent amava profondamente le donne e le voleva libere nel senso più spirituale e intimo del termine, giocando con l’ambiguità dei sensi e delle forme in un bluff gioioso e alternativo. Fu pioniere nella materia, democratizzando il costume maschile in tutta femminilità, osando le vere trasparenze senza mai pero’ entrare nella volgarità provocatoria di una sessualità esplicita. La maggiorparte dei suo pezzi immaginati per quel “viaggio straordinario” sono dotati di una sensualità animale emanata dalle macchie del leopardo, dal calore della seta e del velours, una eccezione colorata della lotta tra Eros e Thanatos. Margherite Duras disse di Yves Saint Laurent che non faceva “della differenza tra le cose che creava per gli uomini e quelle che creava per gli dei“. (3)

(1) David Teboul, Yves Saint Laurent, 5 avenue Marceau, Edizioni de la Martinière, Parigi 2002

(2) Catalogo dell’Esposizione Yves Saint Laurent: exotisme. Insieme dei Musei Nazionali, Parigi 1993

(3) Yves Saint Laurent e la fotografia di moda, Albin Michel, Parigi 1998

Fonte: My Amazighen

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Salvatore Ferragamo

February 1, 2012 Leave a comment

Salvatore Ferragamo (Bonito, 5 giugno 1898 – Firenze, 7 agosto 1960) è stato uno stilista italiano.
Biografia
Salvatore Ferragamo nacque a Bonito in provincia di Avellino. Si dice che la sua passione sia nata dopo aver creato per le sorelle le prime calzature.
Fu uno dei più influenti designer di calzature del XX secolo, popolare anche a Hollywood dove portò con successo le sue creazioni fatte a mano, dal design unico e con grande attenzione al connubio fra bellezza e comodità.
Dopo aver lavorato per un anno a Napoli da un calzolaio, tornò a Bonito, dove aprì un piccolo negozio in cui produceva scarpe su misura per le signore del posto. Nel 1914 partì per gli Stati Uniti per raggiungere uno dei fratelli a Boston, che lavorava in una fabbrica di scarpe. Dopo una breve permanenza si trasferì in California, inizialmente a Santa Barbara, dove aprì una bottega di riparazione e fabbricazione su misura di scarpe. Lavorò per L’American Film Co. e studiò anatomia presso l’Università della California.
In seguito, nel 1923, si spostò a Hollywood, dove aprì l’Hollywood Boot Shop e in poco tempo si guadagnò il nome di “Calzolaio delle stelle”. Anche se alcuni sostengono che le celebri scarpette di rubino di Dorothy, nel film “Il mago di Oz” del 1939, siano state realizzate da lui, in realtà furono una creazione di Gilbert Adrian, famoso costumista di Hollywood.
Dopo tredici anni di attività negli Stati Uniti, ritornò in Italia nel 1927. Si stabilì a Firenze e aprì il suo primo laboratorio in via Mannelli 57. Qui produceva scarpe da donna destinate inizialmente solo al mercato americano. Nel 1928 diede avvio alla prima azienda Salvatore Ferragamo. Il pittore futurista Lucio Venna, nel 1939, produsse la prima pubblicità di Ferragamo e disegnò l’etichetta per le sue creazioni.
Nel 1933, a causa della cattiva gestione amministrativa e della crisi mondiale, la ditta dichiarò bancarotta. Conclusa la guerra, Ferragamo si accorse che il mercato italiano era ancora recettivo. Negli anni cinquanta Palazzo Spini Feroni, dove dal 1938 Ferragamo aveva stabilito la sua sede, divenne meta di attrici del cinema, del jetset internazionale e delle famiglie reali, che venivano nei suoi showroom per ordinare calzature considerate straordinarie per qualità e inventiva.
Ferragamo è stato talvolta indicato come un visionario, con i suoi disegni che spaziano da creazioni più bizzarre, spesso veri e propri oggetti d’arte di altissimo design, a linee di eleganza più tradizionale, che spesso servirono da ispirazione anche ad altri progettisti della calzatura del suo tempo.
Alla morte di Ferragamo, nel 1960, la fama internazionale del marchio non subì flessioni, anzi inaugurò una nuova stagione grazie alla guida della moglie Wanda e dei sei figli Fiamma, Giovanna, Ferruccio, Fulvia, Leonardo e Massimo, che hanno portato avanti sino a oggi l’eredità del fondatore.
L’azienda
Fondata nel 1928 e guidata da Salvatore Ferragamo fino alla sua morte, nel 1960, l’azienda è rimasta nelle mani della famiglia Ferragamo: la moglie Wanda ed i sei figli che, raggiunta la maggiore età, hanno ricoperto i ruoli chiave dell’azienda, contribuendo alla sua espansione sia nell’offerta di prodotti che nella distribuzione.
In vista della quotazione in borsa del marchio, la famiglia Ferragamo è affiancata da un manager esterno, Michele Norsa, che ricopre il ruolo di amministratore delegato.
Tutti i figli ed alcuni nipoti sono attualmente impegnati all’interno dell’azienda e del gruppo:

  • Wanda Ferragamo Miletti (Bonito, 1921), moglie del fondatore, è alla guida del gruppo dal 1960 e attualmente ricopre il ruolo di presidente onorario della Salvatore Ferragamo SpA.
  • Ferruccio Ferragamo, è attualmente il presidente della Salvatore Ferragamo SpA.
  • Giovanna Gentile, è attualmente vicepresidente della holding del gruppo, Ferragamo Finanziaria SpA.
  • Leonardo Ferragamo, dal 2000 è amministratore delegato della Palazzo Feroni Finanziaria SpA, la holding company di famiglia.
  • Massimo Ferragamo, è il presidente della Ferragamo USA, la società che dagli anni Cinquanta si occupa di distribuire i prodotti del marchio nel Nord America.
  • Fulvia Visconti Ferragamo, è dagli anni Settanta responsabile degli accessori in seta del marchio e vicepresidente della Salvatore Ferragamo SpA
  • Fiamma Ferragamo di San Giuliano, scomparsa nel 1998, è ancora considerata per molti una figura presente nella vita della Salvatore Ferragamo. Stilista premiata con il Neiman Marcus nel 1967, ha creato alcuni prodotti simbolo del marchio, quali la scarpa Vara e l’ornamento Gancino.
  • Nel 1995 a Firenze, Wanda Miletti Ferragamo ha inaugurato il Museo Salvatore Ferragamo, dedicato all’opera del fondatore, dove vengono conservate, tra l’altro, le forme delle scarpe create per molti personaggi celebri. Il 5 dicembre 2006 il museo è stato riaperto in una nuova location a Palazzo Spini Feroni.

Nel 2007 Salvatore Ferragamo sigla con l’americana Timex Group una nuova licenza per i suoi segnatempo. Che dopo il restyling dell’esistente saranno presentati a “Baselworld 2008”.
Il Gruppo Salvatore Ferragamo ha annunciato la sigla del nuovo accordo di licenza per la collezione di segnatempo da ora affidati all’americana Timex Group, fondata nel 1854 e licenziataria di marchi come Valentino e Versace.

Fonte: Wikipedia

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Daniel Swarovski I

L’azienda austriaca destinata a divenire la più importante produttrice mondiale di cristallo tagliato nacque nel 1895 a Wattens, nelle Alpi tirolesi, grazie al geniale spirito innovativo del suo fondatore, Daniel Swarovski. Originario della Boemia, questi aveva appreso dal padre l’arte di tagliare il cristallo, ma la lavorazione manuale, l’unica conosciuta fino alla fine dell’Ottocento, non consentiva di ottenere pietre dal taglio perfetto. Dopo aver visitato a Vienna l’Esposizione Internazionale dell’Elettricità, il giovane Daniel intuì che una grande rivoluzione tecnologica era imminente e, pochi anni dopo, brevettò la prima macchina per il taglio del cristallo alimentata elettricamente. Da quel momento, l’azienda cominciò; a espandersi fino a divenire la principale fornitrice di pietre per l’industria della moda e soprattutto del gioiello fantasia, ornamento particolarmente adatto al “look informale” impasto negli anni Trenta da Coco Chanel.
Negli anni successivi, Swarovski mise in atto una strategia di diversificazione produttiva, trovando per i propri cristalli altre innumerevoli modalità di impiego: lenti per strumenti ottici di precisione, catarifrangenti per la sicurezza stradale, pendagli per lampadari, strass termoadesivi per l’industria tessile. Ma forse la svolta più importante nella storia dell’azienda si ebbe nel 1976, quando fù presentata la prima linea di prodotti finiti, Swarovski Silver Crystal: un’occasione per dare impulso alla politica di diversificazione da sempre perseguita dall’azienda attraverso nuovi, impensati sbocchi creativi e di mercato.

Swarovski: La nascita dei prodotti finiti
Nei primi anni ’70, l’economia mondiale venne messa a dura prova dalla crisi petrolifera. Anche Swarovski, che dalla sua fondazione nel 1895 si era specializzata nella produzione di pietre in cristallo destinate principalmente alle industrie della moda, della bigiotteria e dell’illuminazione, risentì fortemente della crisi in cui versavano questi mercati, vedendo la richiesta dei propri prodotti ridursi fortemente. Swarovski si rese quindi conto che per superare questo difficile momento occorreva rendersi meno dipendenti da altre manifatture, creando, grazie alle elevate capacità tecniche raggiunte in decenni di esperienza, una propria linea di prodotti finiti. Questa nuova strategia fù facilitata dalla scoperta di una speciale sostanza trasparente che consentiva, assemblando a mano diverse parti, la creazione di forme nuove, considerate fino a quel momento di impossibile realizzazione.
E la leggenda vuole che fu propria un dipendente dell’azienda, dotato di particolare estro e creatività, ad avere per primo l’idea di unire quattro componenti in cristallo destinati all’industria dell’illuminazione (una base, una pallina e due gocce), “inventando” cosi, in modo casuale, il pezzo inaugurale Swarovski Silver Crystal: l’ormai celebre topolino. Era l’autunno del 1976.
Swarovski, che inizialmente realizzava le creazioni Silver Crystal assemblando pietre e pendagli rivolti originariamente all’industria dell’illuminazione, cominciò ben presto a produrre componenti in cristallo destinati esclusivamente a questa linea, che si andava man mano arricchendo di temi e spunti creativi sempre nuovi.
Successivamente vennero create altre linee (Società dei Collezionisti Swarovski, Daniel Swarovski, Swarovski Selection, Swarovski Crystal Memories e Swarovski Jewelry), che contribuirono all’affermazione del marchio Swarovski nel campo degli oggetti d’arredamento e da collezione, nonchè degli accessori moda.

Fonte: Magia e Scintilli

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Antonio D’Amico

Antonio D’Amico (Mesagne, 1959) è uno stilista italiano.

Relazione con Gianni Versace

La sua vita è stata segnata dalla relazione con lo stilista di fama mondiale Gianni Versace. I due si incontrarono nel 1982 ed iniziarono una relazione che durò fino al 1997, data della morte prematura di Versace.

Per tutto questo periodo, D’Amico contribuì alle creazioni della linea sportiva della Versace.

Il testamento del compagno lascia a D’Amico un vitalizio di 50 milioni di lire al mese, ed il diritto di vivere nelle case già di Versace in Italia e negli USA.

Casa di moda

Dopo la morte di Versace, D’Amico ha lanciato un’azienda di moda che porta il suo nome.

fonte: Wikipedia.org

 

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Alexander McQueen, biografia di una celebrità infelice

February 16, 2010 Leave a comment

Alexander McQueen nasce il 17 marzo 1969 a Londra, anagraficamente registrato come Lee McQueen, in una modesta famiglia inglese, sesto e ultimo figlio di un tassista del quartiere popolare dell’East London. Dopo aver abbandonato i suoi studi scolastici all’età di 16 anni entra nel mondo del lavoro dapprima collaborando attivamente nell’esclusivo atelier di Anderson & Shepperd di Saville Row, un ambiente favorevole per la sua formazione professionale dove scopre i piccoli segreti dell’alta sartoria maschile, per poi confluire nella sartoria di Gieves & Hawks e successivamente nello studio teatrale di Angels & Bermans, nel quale si immerge nella vera sartoria femminile imparando i sei tagli principali di un modello del XVI secolo e vari segreti del mestiere. I suoi 20 anni acclamano al successo, prima collaborando con il designer Koji Tatsuno e in seguito nel 1990, trasferendosi a Milano, per collaborare nell’ufficio stile del famoso stilista italiano Romeo Gigli.

Nel 1992 Alexander McQueen torna nuovamente nella sua amata città con il desiderio di migliorare le sue conoscenze stilistiche, nonché di accrescere le sue esperienze sartoriali, proponendosi come tutor per il taglio nel rinomato istituto di design Central Saint Martins College of Art and Design. Considerando il suo portfolio gremito di esperienze proficue per il suo successo professionale, gli viene proposto di iscriversi al master di studi della durata di quattordici mesi per raggiungere un diploma finale attestante la sua professionalità concertata, titolo concernente una collezione lancio di presentazione, allestita alla presenza della talent scout, stylist e consulente di moda Isabella Blow, futura musa ispiratrice e punto focale della sua creatività, che ne acquista l’intera uscita segnando così l’inizio della sua strabiliante carriera, consolidata ulteriormente da un rapporto di ammirevole amicizia maturata e consolidata fino alla sua fine, deceduta per morte suicida circa tre anni fa. Alexander McQueen, fortemente affranto dalla terribile mancanza, di recente decide di dedicare una collezione esclusiva alla sua cara amica deceduta citando un breve epitaffio commemorativo: “Non vi sarà un’altra Isabella, mai più. Era più di una sorella. La nostra intesa veniva alimentata da una malinconia a volte connessa alla superficialità del nostro ambiente. Lei aveva la pelle fragile, io invece ho la pelle dura”.

Nel 1996 entra nella maison di Givenchy al posto di John Galliano, chiamato alla guida della direzione artistica del noto marchio dal proprietario del gruppo Lvmh, Bernard Arnault, una collaborazione che si protrarrà fino al 2001,  conclusa con la sua recessione dal contratto, e un periodo di grande incertezza creativa poiché dibattuto da una visione troppo conservatrice della haute couture francese, accentuata dai tratti caustrofobicamente troppo cinematografici dell’entourage parigino, nel quale non riesce a stabilire un reale contatto sinergico, e di conseguenza ne trae una spinta negativa alla sua grande inventiva. Durante questo periodo egli consolida il suo progetto concernente lo sviluppo del suo marchio originario allestendo un ufficio stile a Londra, di cui già nel 2000 il gruppo Gucci detiene il 51% e dal quale riceve la nomina di direttore creativo con la possibilità vincente di poter lavorare finalmente nella sua amata città insieme ai suoi cari amici e compagni di studi, tra i quali il designer cappellaio Philip Treasy e la sua adorabile amica Isabella Blow, un lancio fenomenale che contribuisce all’espansione delle sue linee di abbigliamento, proposte con il tempo in 39 paesi, e alla nascita di boutiques flagship nelle città di New York, Londra e Milano.

Nel 2005 sigla un contratto con il gruppo Puma vertente il lancio della linea calzature PUMA – Alexander McQueen, recentemente estesa all’abbigliamento sportivo e casual chic; seguono inoltre collaborazioni esclusive con la Siv Spa, nel 2006, concernente il lancio della linea McQ – Alexander McQueen, incentrata sulla linea jeans ispirata alle creazioni eccentriche del prét a porter, e con il gruppo Samsonite, nel 2007, proponente la presentazione di accessori di valigeria e pelletteria tipicamente space-wear.

Tutto sommato, chi era Alexander McQueen? Una celebrità, un uomo, un artista… Acclamato dai media come l’hooligans della moda per le sue creazioni innovative, a volte avveniristiche, intrise di un sottile savoir faire onirico permeato di ironico simbolismo, eleganza estrema e maestosa bellezza. Le sue performances rappresentano il mondo in continuo mutamento, la realtà che si evolve costantemente, dietro i grandi artefici della moda internazionale, annoverato tra i più grandi nomi dello stile. “Sì, sono aggressive, parlano di disastri, guerre, morte, rovine. Sono esattamente come i tempi che viviamo. Possono anche essere romantiche, come i tempi che non riusciamo più a vivere. Ma sempre e ogni volta per le mie presentazioni è come se dovessi uscire da un buco nero per mostrare il lato positivo. Provengo dalla classe operaia, ora sono circondato dal benessere. Le classi sono meno divise, o forse, invece, sono drammaticamente separate. Bisogna fare attenzione a non perdere il senso della realtà e a tenere i piedi ben saldi a terra. In India ho visto un’armonia, un rispetto e perfino una capacità di felicità fra i poveri che non avrei creduto potesse esistere”, dichiara in una sua intervista. Rabbia, ribellione, anarchia concettuale come manifestazione di uno stile contemporaneo estemporaneo additante il decadentismo e l’integrazione; un sobillatore intellettuale alla ribalta, un sognatore ribelle conteso tra la libertà di pensiero, espressa dalla sua mise stravagante e agguerrita, e l’emancipazione sessuale, messa in risalto dalle crude accentuazioni di scena solitamente edulcorate da riverberi prettamente neo-romantici e di carattere favolistico. Innamorato della vita, quella creata senza inibizioni e falsi preconcetti, un uomo puro – come lo definisce Franca Soncini, talent scout e stratega delle pubbliche relazioni – incontaminato dall’ipocrisia e sicuramente un ragazzo istintivo nella sua vivida riservatezza, amorevole e spiazzante, libero ed integro nella sua spontaneità.

A testimonianza della sua teatralità dirompente, nel 1999 sceglie l’atleta Aimee Mullins, recisa delle sue gambe sostituite da protesi di legno, tra le modelle preferite per la sua sfilata londinese. Definito il “ragazzaccio” della new generation per l’euforia trasgrediva delle sue silhouettes spesso permeate da un stile gotico in un gusto tipicamente eclettico, mesciute in live-shows additati tra il macabro e il misterico, quali inibizioni di una sensibilità indagatrice, probabilmente inquisitoria e sicuramente incontaminata dagli stereotipi, diventa una figura stimolante apprezzata da molti artisti di fama internazionale, come Björk, Lady Gaga e Rihanna, e personaggi di spicco del mondo dell’immagine e della cultura.

Ma chi era realmente Alexander McQueen? Una celebrità nascosta nell’ombra delle sue inquietudini, un uomo innamorato della sua vita nonostante la sua unicità, un artista brillante capace di sorprendere l’interro star system scioccando il mondo intero con le sue sfilate incredibilmente inquietanti, un genio creativo, definito da molti esperti del settore. Io amerei definirlo un giovane di talento, come tanti altri della sua specie, un omosessuale e non per questo una persona meno intraprendente e laboriosa, un essere umano capace di realizzare cose incredibili nella piena semplicità come pochi riescono a definire in un’esistenza.

Per il suo talento creativo egli è premiato ben quattro volte, tra il 1996 e il 2003, al British Designer of the Year Award e nel 2003 riceve il premio di International Designer of the Year dal Council of Fashion Designers of America, anno nel quale viene insignito dell’onorificenza di Commander of the Order of the British Empire (CBE) dalla regina Elisabetta d’Inghilterra.

Ciononostante la vita di Alexander McQueen viene frastornata da una terribile forma di depressione che coinvolge il suo habitat interiore, compromettente la sua emotività interlocutrice e la sua sensibilità stravolta da una serie di eventi infausti che lo recidono nel suo profondo trascinando il suo animo in un vicolo cieco dal quale non troverà mai uno sbocco da cui riemergere. Il giovane talentoso dalla pelle dura inizia il suo silenzioso sciabordio verso quella morte spesso ritratta negli scenari ludici delle sue sfilate, ermetico ed incompreso infrange contro una nuda realtà che sembra divenire più greve, istintivamente isolata malgrado il fervido entourage di contorno. Dapprima la perdita della sua migliore amica Isabella Blow, in seguito la fine del suo rapporto sentimentale con l’ex-marito George Forsyth, infine la tragica ed improvvisa morte della madre Joyce McQueen; una perdita costante dopo l’altra sgretola lentamente quella solida impalcatura finora salda e tenace, un pezzo alla volta egli avverte la manchevolezza di quel sontuoso benessere di cui si circonda, intriso di sofferenza per quell’amore divenuto fioco dentro di lui poiché disperso poco per volta in un mondo frenetico. Perdere l’amore conduce alla melanconia, all’isolamento, alla solitudine, alla segregazione, alla tragica dipartita. Alexander McQueen muore suicida l’11 febbraio 2010 nella sua casa di Green Street a Londra, prossimo all’età di 41 anni, in preda ad uno sconforto che lo spinge all’impiccamento, l’epilogo di una tragica agonia vissuta nel silenzio di una vita spezzata dalle digressioni della felicità.

Riposa in pace, caro Alexander…

a cura di Marius Creati