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Odette du Puigaudeau, cammelliera di lungo corso

June 15, 2011 Leave a comment

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Nata a Saint-Nazare, in Francia, da un antica famiglia di armatori bretoni, Odette du Puigaudeau è uno di quei personaggi singolari della storia che, giocoforza, diventano ambasciatori delle cause perse. Per lei fu quella del grande nomadismo cammelliero. Nel 1933, la Mauritania era stata appena pacificata, sconosciuta all’occidente e amministrata esclusivamente da uomini. Appassionata, tenace, un filo di arroganza, Odette realizzo’ quattro grandi viaggi in Africa che definirono gli usi e i costumi di una terra lontana. La sua storia. Odette de Puigaudeau (1894-1991) non è definibile con il genere “avventuriera in crinolina“. Era piuttosto un carattere forte, ben temprato, al limite del virile. Ci vuole coraggio per affrancarsi alle grandi carovane del sale di quell’epoca, a piedi o a dorso di cammello, su piste pericolose dove soccombero, prima di lei, numerosi nomi prestigiosi della società della geografia europea. Se la determinazione di Odette era a prova di bomba, a tutti gli effetti non viaggio mai sola ma con Marion Sénones, l’amica di tutta una vita e complice scientifica nella scoperta di un ovest sahariano appena cartografato. Di queste odissee Odette pubblicherà un opera, a volte contestata dal punto di vista accademico (era autodidatta) e le istituzioni cercarono sempre di marginalizzarla. Ma grazie alla superba biografia redatta da Monique Vérite e alla redenzione tardiva delle sue opere e articoli, sappiamo oggi riconoscere quale fu l’apporto dato da questa donna, fuori del comune, nella conoscenza delle società africane prima della colonizzazione. Odette era bretone e in primis oceanografa. Suo padre, pittore della scuola di Pont-Aven, e di sua madra, ritrattista, eredito’ il gusto del disegno e della vita bohèmienne. Pertanto, quando lascio’ la Bretagna, aveva compiuto 26 anni, pronta per farsi accogliere dalla sognata Parigi, dove mise a profitto il suo talento di disegnatrice lavorando su delle tavole di scienze naturali che l’avrebbero condotta, secondo lei, a partecipare alle spedizioni di Charcot nell’Antartico. La spedizione è misogina e la porta restò chiusa. Si indirizzo allora al mondo della moda, con la speranza di vedersi all’estero per seguire le collezioni (diresse con successo per un certo periodo l’atelier di disegno di Jeanne Lanvin). Dopo questa esperienza si diresse verso il naturalismo e saltuarialmente tornò in Bretagna per gravitare intorno ai luoghi di pesca, che la affascinavano. Nel 1928, ottenne un libretto di iscrizione marittima, passaporto indispensabile per imbarcarsi. Per tre stagioni la si vedrà al lavoro sulle imbarcazioni con diverse mansioni e in ultimo una campagna di pesca al tonno. La sua passione per l’oceano permetterà ad Odette di debuttare in una carriera di giornalista, perchè i diari delle sue intrepide avventure marittime conobbero un grande successo editoriale e di pubblico. Ma di grandi viaggi, Odette ha 40 anni, nemmeno l’ombra. Non sarà il mare ma il Marocco e la Mauritania, accostate per la prima volta a bordo di un veliero bretone, nel novembre del 1933, in compagnia dell’amica Marion, incontrata un anno prima. Le due dame riuscirono a farsi finanziare da diversi periodici (L’Illustration, Le Monde Colonial illustré, L’intransigeant) e guadagnare l’appoggio del generale Gouraud, che vide in quella spedizione il mezzo per valorizzare l’azione pacificatrice della Francia. Da Port-Etienne (Nouadhibou, Mauritania), uno dei primi avamposti creati dai francesi alla frontiera del Rio de Oro (Sahara marocchino), arrivarono a Nouakchott a dorso di cammello o a piedi, accompagnate da alcuni indigeni di cui adottò i costumi, visitando entroterra sconosciuti, accampamenti e saline, condividendo il quotidiano con le popolazioni locali.

Nessun ristorante alla moda, neppure letti comodi e tantomeno cibi saporiti. Qualche utensile in legno, sacchi di cuoio, mobili locali. “Viaggiare è vincere” recita un proverbio arabo. Immobilizzata diverse volte da gravi problemi di salute, riusciva sempre a ripartire per recarsi alla guetna (fiera dei datteri) che si teneva ogni estate nell’Adrar. Vinse anche sulle frequenti interdizioni lanciate dai militari degli avamposti francesi, dove era mal vista in quanto presenza femminile. Pur proibendo loro di spostarsi per andare a Fort Gouraud, per raggiungere alcuni gruppi nomadi e scoprire nuovi siti, trovò il modo di raggiungerli da Ouadine sino a Chinguetti, un inferno di 400 km percorsi in sei giorni sotto una tempesta di sabbia feroce. Dopo questa, un altra attraversata di nove giorni in un deserto di fuoco in direzione della baia di Saint-Jean, dove si imbarcarono per Nantes, nell’ottobre del 1934. La stampa, che durante la loro assenza aveva pubblicato alcuni reportages, le accolse in modo trionfale. Il mondo della scienza iniziò ad aprire loro le sue porte, con delle conferenze al Museo delle Colonie. Odette in quel periodo pubblicò il suo primo libro, ” A piedi nudi attraverso la Mauritania” con prefazione del generale Gourad, e premiato dall’Acadèmie Française. Dicembre 1936: Odette e Marion vengono incaricate, dal Ministero dell’Educazione Nazionale e delle Colonie, di completare le collezioni archeologiche e etnografiche del Museo di Storia Naturale. Il progetto è ambizioso, seguire le due piste carovaniere che, da secoli, ritmavano l’economia del Sahara. All’andata, la strada dell’ovest, Trik Lemtouni, che tracciava il sud del Marocco sino all’Adrar mauritano; al ritorno, la rotta dell’est, Trik el Djouder, che conduceva a Timboctou e a Tindouf (Marocco). Immobilizzate dalle pioggie invernali per diversi mesi a Tidjjka, capoluogo del Tagant, si impegnarono a raccogliere memorie orali, genealogie tribali, utensili preistorici e manufatti in terracotta. Dettagliarono le condizioni di vita dei mauri e catalogarono i siti rupestri già accennati nel Giornale della Società degli africanisti. Questo secondo viaggio, che si chiuse nel febbraio 1938, dopo 6.500 km di marcia al passo lento delle carovane, è salutato dall’Occidente come un exploit. La guerra metterà un freno alla curiosità delle due donne ma si imbarcarono nuovamente nel 1949. Caricate di alcune missioni scientifiche dal Ministero della Francia d’Outremer, non ricevettero però nessun tipo di sovvenzione. Le relazioni con i ricercatori del Museo dell’Uomo erano tese e molti i problemi irrisolti con i militari colonialisti. Durante i sei mesi di soggiorno nel sud marocchino vennero tenute in ostaggio dalla popolazione e dovettero rinunciare ad affrancarsi ad una carovana che partiva per la Mauritania, che la raggiunsero poi in camion nel giugno del 1950.

Dopo dodici anni di assenza da quei territori, Odette è rammaricata: i nomadi si stanno sedentarizzando, emigrano verso le città e le miniere presenti nelle zone. Consacro’ allora tutta la sua vita a difendere la causa dei valori tradizionali di una cultura minacciata, di cui si sentiva solidale. Il destino dei Mauri diventò il suo destino. Dopo dieci anni di lavoro d’ufficio a Parigi sulle arti e sui costumi dei Mauri, fece un ultimo viaggio in Mauritania nel 1960, l’anno del nucleare nel mondo occidentale. Poi, sollecitata dal governo marocchino per seguire delle ricerche archeologiche nel sud del Paese, si installo a Rabat dove venne nominata capo dell’ufficio di Preistoria del Museo delle Antichità. Quando arrivò l’ora di andare in pensione, a 84 anni (!), infaticabile, intraprese la redazione del quinto capitolo di una tesi che non concluderà mai. La sua morte avvenne a Rabat nel 1991, come Monod o Lothe, quasi centenaria.

La carovana Azalaî: Straordinaria carovana con migliaia di cammelli che partivano da Timbouctu in direzione delle miniere di sale di Taoudéni, assicurando la vitalità commerciale del Sahara. Si organizzava due volte all’anno, in aprile e in novembre. Dopo aver attraversato l’Azaouad, il convoglio si fermava presso i cento pozzi di Araouane dove, per circa due giorni e tre notti, i pastori abbeveravano sino a 3.500 cammelli caricando le sacche di migliaia di carovanieri. Di seguito la grande tappa sino a Taoudéni, durante la quale uomini e animali venivano messi a dura prova: una attraversata di otto giorni in pieno deserto sahariano senza nessun pozzo d’acqua per il rifornimento.

Fonte: My Amazighen

Un viaggio sconfinato verso la Mauritania

April 19, 2011 Leave a comment

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Partire dal Marocco e avventurarsi in Mauritania, proseguendo per il Mali e purtroppo ritornare, non è impresa facile. Leggo oggi sul sito della Ambasciata francese che è fortemente sconsigliato avventurarsi via terra in Mauritania. In poche settimane due ostaggi sono stati freddati sul colpo e di altri quattro non si sa nulla. Ripercorrendo il mio percorso tracciandolo sulla cartina dell’Ambasciata ho realizzato che sono entrato in pieno nella zona rossa, quella verso il confine con il Mali. Quel disagio che ho percepito in tutta la transmauritanienne si è rivelato giustificato. Una terra splendida la Mauritania, davvero.  Tre milioni e mezzo di abitanti in un territorio che è il doppio dell’Italia.  Solitudini e silenzi. Avrei voluto partire per l’oasi di Chinguetti (Patrimonio Mondiale UNESCO), nell’Adrar,  ma il tempo non era sufficiente per farlo e ho rinunciato. La Mauritania offre tra i più spettacolari paesaggi di tutta l’Africa. L’Adrar è un susseguirsi di dune sabbiose, oasi verdi e il monolito più grande dell’emisfero boreale. Sulla costa si trova lo spettacolare Parco Nazionale du Banc d’Arguin, anch’esso nella lista dei Patrimoni UNESCO, luogo simbolo per il birdwatching. In questa terra il deserto è il vero protagonista assoluto. Paesaggi che ti annegano gli occhi di Bellezza, quella vera, allo stato puro. Frammenti di vita, atmosfere irreali, villaggi spettacolari nella loro decadenza, un orgia di sensazioni. Le dune maestose che incontrano la lingua d’asfalto, dromedari selvaggi, qualche iena in corsa sfrenata, lo squallore di vite annullate, polizia ovunque. Non consiglio la Mauritania ai novizi ma a chi ha già assaporato particelle d’Africa vera, non quella dei depliants turistici all inclusive. Nouakchott, la capitale,  stupisce per il numero di capre che pascolano libere per le strade, senza padroni, anarchiche, pronte ad infilarsi ovunque. Ho scoperto poi il perchè: sono i netturbini delle città e dei villaggi. In questi luoghi tutti gettano l’immondizia dove capita, davanti a casa, negli angoli della strade, ovunque. Rifiuti che non sono chiusi in sacchetti ma gettati cosi’ come si trovano, bottiglie con scarti dei cibi, carta, materiale di ogni tipo. E le capre, diligentemente, mangiano quasi tutto, dalla plastica al cartone, passando per gli scarti di cibarie. Raccolta dei rifiuti iperecologica. Quando si esce dalla capitale ti assale un senso di controllo, di “sentirsi osservati“, senza incrociare anima viva. Solo km e km di deserto, un assaggio di bush, dromedari e nomadi. I villaggi sono agglomerati di case e tende con basi di cemento (il nomadismo è nel DNA), a volte un pozzo dove esiste l’acqua, bidoni d’acqua dove l’acqua è introvabile. Nelle tende, aperte sui due lati per far circolare l’aria, ci si siede, si mangia, si discute e si dorme.

Appese nella parte centrale pezzi di carne di montone o cammello che, senza spostarsi, vengono cucinate sulle braci posizionate ai lati della tenda. E’ un ingranaggio collaudato, non si sprecano energie che nelle giornate torride sono preziose.  A volte la sottile striscia d’asfalto diventa invisibile, il deserto avanza e copre ogni cosa, ti spiazza, rende le cose vanescenti e senza un moto continuo. I tramonti abbagliano, girandole di luci e di pensieri, intimi e coinvolgenti. La luce calda della sera avvolge ogni cosa, e tutto diventa ancor più bello, poetico. Ma quell’ansia di controllo ti segue ovunque, come un macigno sul torace, come un peso sulla nuca. La polizia, a volto coperto con spessi occhiali scuri, mitra alla mano, aggiunge peso al controllo. Documenti, fiches, informazioni, domande, risposte, chiarimenti, richieste di denaro e di regali. Un rosario di parole dette e ripetute all’infinito, sino al prossimo posto di blocco. Ma una natura cosi’  spettacolare a volte riesce a farti dimenticare certe brutture, certi squallori. I primi monumentali baobab e gli accenni di una savana li incontri verso il confine con il Mali, assapori un gusto d’Africa che non trovi in Marocco. Pensi che dietro a quell’albero, nascosto tra la bassa vegetazione, potrebbe uscire un leone, un ghepardo o un antilope, e non sarebbe fuori posto. Simbolo di questo paese la Draa (tunica azzurra o bianca che tutti gli uomini indossano), esibita con orgoglio e una punta di civetteria; in una piccola città, Néma, ho visto un ragazzo che lavava e  poi stirava centinaia di questi capi (non si lavano in casa, non c’è acqua) usando semplicemente un antico ferro a brace, vaporizzando sul tessuto sorsate d’acqua direttamente dalla bocca.

Purtroppo la mutilazione genitale femminile e l’alimentazione forzata delle giovani spose è pratica comune ancora oggi nelle comunità rurali. In Mauritania vivono in stato di schiavitù circa 100.000 persone, arcaica e delinquenziale pratica che ancora oggi è diffusa sul territorio. Il colore della pelle è un importante fattore discriminante, dividendo la popolazione in Bidan e Haratin, mauri bianchi e neri, e sul gradino più basso si trovano gli schiavi e gli ex-schiavi neri.

Fonte: My Amazighen

 

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