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Uomini in gonna… semplice comodità

“Quando fa caldo, mi sento più a mio agio vestito così. Davvero, è molto più comodo” dice tranquillamente Jérôme Salomé al cronista del Parisien. E con la stessa tranquillità lui, eterosessuale e padre di due figli, gira da 14 anni per le strade di Limoges, in Alta Vienne, indossando una gonna. Non tutti i giorni, certo, “dipende dal tempo che fa”. Ma quando arriva il caldo la gonna per lui è la norma

Jérôme ha iniziato a mettersi le gonne nel 2003 e nel 2012 ha fondato anche un’associazione, Hommes en Jupe (Uomini in gonna), di cui è stato presidente per alcuni anni. “Le donne hanno combattuto a loro tempo per conquistare la libertà nell’abbigliamento ed è questo che rivendico anch’io, né più né meno. I pantaloni non hanno sesso e neppure la gonna” spiega.

L’uomo, un dipendente pubblico, ha trovato un ambiente di lavoro comprensivo e accogliente: i dirigenti non solo gli permettono di indossare la gonna anche in ufficio, tranne che per le mansioni in cui è a contatto con il pubblico, ma hanno anche approvato la sua idea di organizzare sul posto di lavoro una mostra sull’uso della gonna nella storia.

In famiglia le cose non sono andate altrettanto bene. La moglie non ha approvato per nulla le scelte di Jérôme: “Dal giorno in cui mi ha visto in gonna, non ha più osato toccarmi”. E così si sono separati. Probabilmente lei ha pensato che il marito le nascondesse di essere trangender o – seguendo un po’ i luoghi comuni – gay, quando in realtà Jérôme sostiene che si tratta di una semplice questione di gusti e di libertà, che non c’entra proprio nulla con l’identità di genere o con l’orientamento sessuale: la gonna è un semplice capo di abbigliamento, un pezzo di stoffa, perché mai dovrebbe determinare o raccontare qualcosa a proposito del nostro essere femmine o maschi, uomini o donne?

Se a qualcuno la pacata battaglia di Jérôme e degli Hommes en Jupe sembrerà assurda, forse conviene ricordare la storia dei pantaloni, per secoli vietati alle donne occidentali un po’ perché simbolo di una mascolinità fonte di un potere da cui dovevano essere escluse e un po’ perché questo capo di abbigliamento era considerato come un inno alla lussuria quando ricopriva un corpo femminile. Le donne dovevano indossare ampie gonne persino per svolgere lavori in cui questo vestito era un grosso impedimento o una fonte di pericolo (per esempio, perché poteva impigliarsi in un macchinario).

E non si parla solo di fanatici religiosi o di Medioevo: la rivoluzione francese portò una legge che proibiva alle donne di indossare pantaloni eccetto che per ragioni mediche, negli anni ’30 i calzoni erano uno dei simboli della “ambiguità sessuale” di Marlene Dietrich e ancora nel 1961 l’allora arcivescovo di Genova, Giuseppe Siri, avrebbe scritto che i pantaloni femminili avrebbero condotto a “un’epoca futura di incertezza, ambiguità, imperfezione e, in una parola, mostruosità”, come riporta Isidoro D’Anna in “La via della purezza” (2016). Eppure oggi i pantaloni femminili non scandalizzano neppure i cospirazionisti anti-gender, salvo rare eccezioni.

La gonna come indumento solo femminile? Chissà, forse già tra pochi decenni questa limitazione suonerà come un concetto arcaico e assurdo, ma anche decisamente buffo, di un passato incomprensibile, mentre gli uomini avranno riscoperto le gioie delle gonne. Che in realtà hanno indossato per millenni.

di Per Cesare Notaro

Fonte: Il Grande Colibrì

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