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Intervista di Viviana Musumeci a Marta Ferri
E’ solare, open minded e molto creativa; ha lo sguardo diretto, i lineamenti artistocratici ed eleganti e una stretta di mano schietta e vigorosa: Marta Ferri da qualche anno a questa parte ha lanciato la sua linea di abiti molto apprezzata dai fashionisti esigenti e raffinati – le sue ricerche partono sempre dai tessuti -. Qualche settimana fa, Marta, forte del suo successo, ha anche lanciato una nuova linea di borse dal nome più che significativo: Unica. Una capsule di 24 modelli – la collezione presentata di recente è andata venduta in una sola sera -, composta da borse realizzate a mano, con la stessa struttura – che si ispira ai modelli cari alle francesi chic della costa Azzurra -, ma rielaborate in maniera unica con l’utilizzo di tessuti di arredamento. Viviana Musumeci l’ha incontrata e intervistata:
V.M.: Com’è nata l’idea di creare una capsule di borse?
M.F.: Quando creo, solitamente il mio punto di partenza sono i tessuti. Grazie al mio lavoro di stilista ho molti rapporti con fornitori di tessuti. Di recente ho scoperto che alcuni di questi possedevano degli archivi di materiale risalente agli anni 50. Quando li ho visti non ho resistito all’idea di farli rivivere in una linea di accessori. In particolare delle borse che sono molto importanti per noi donne. E’ in questo modo che è nata Unica.
V.M.: Il prezzo delle tue borse è, tutto sommato, accessibile per essere, per l’appunto “uniche”, a chi si indirizzano?
M.F.: A tutte le donne. Le borse sono fatte rigorosamente a mano da artigiani esperti e, per l’appunto, sono una diversa dall’altra. Nessuna ne può possedere una uguale. Quando finiscono, non ce ne sono più così. E’ una borsa che può stare bene a chi ha milioni di accessori firmati, oppure a chi desidera avere un dettaglio diverso, riconoscibile e originale.
V.M.: Perché proprio 24 modelli e non di più?
M.F.: Perché ho finito i tessuti – ndr lo dice ridendo -. Come ti dicevo, una volta terminato il materiale e le borse, non è più possibile averle.
V.M.: Tu sei figlia di un noto fotografo – ndr Fabrizio Ferri -. Che cosa ti ha spinto a lavorare nel mondo della moda?
M.F.: Il fatto di non voler più continuare con gli studi. Una volta terminata la scuola, sono andata a vivere a New York e a fare una cosa utilissima nella vita: lavorare. Il muovermi, entrare in contatto con gente diversa da me, e il cavarmela da sola, mi ha spronato a scegliere una strada. Una volta tornata a Milano ho lavorato per qualche tempo come visual merchandiser da Prada. Un lavoro bellissimo e pagato anche bene, ma non mi bastava e così a un certo punto ho capito che la mia strada era questa.
V.M.: Oltre agli abiti e alle borse hai creato altri accessori?
M.F.: Sì, calzature.
V.M.: E per quanto riguarda Unica, sai già cosa farai per la prossima stagione?
M.F.: Dipende dai tessuti e dai materiali che troverò. I giochi sono aperti.
(Intervista di Viviana Musumeci)
Intervista a Marco Muggiano, responsabile della comunicazione del gruppo Slowear
Marco Muggiano è il responsabile della comunicazione del gruppo Slowear, azienda di lusso produttrice di capi di abbigliamento uomo e donna. Da qualche tempo, Muggiano è anche diventato presidente dell’assocazione degli ex allievi dell’Università Iulm di Milano, affiancando al suo naturale talento per la comunicazione e le public relation, anche quello da leader.
V.M.: Come sei diventato presidente dell’associazione degli ex allievi della Iulm e perché ti sei gettato in questa avventura?
M.M.: Sono stato invitato dal Rettore a candidarmi quale membro del Comitato Direttivo e ho accettato. Poi sono stato eletto a maggioranza dai soci dell’associazione. Al mio fianco il Segretario Mariolina Brovelli (direttore marketing di Faber-Castell) e Jacopo Santambrogio(socio fondatore di Don’t Movie). Io sono un orgoglioso ex-IULM, laureato in Lingue e Letterature Straniere e ammetto che la formazione che ho ricevuto è stata per me vitale per intraprendere poi il mio percorso di carriera. Accettare questa carica è il mio modo di rendere all’Università il sostegno che ho ricevuto nei primi anni di carriera. Il Comitato Direttivo poi è ben affiatato e questo ovviamente agevola parecchio il lavoro.
V.M.: Quali sono gli obiettivi dell’associazione?
M.M.: Gli obiettivi, sembrerà banale, sono quelli di un’associazione normale, ovvero fare netwwork. Anche se ammetto che l’associazione che stiamo costruendo gode di un potenziale altissimo. Ci sono oltre 25.000 laureati nel mondo del lavoro con un ventaglio di profili e posizioni incredibili nel mondo della comunicazione, del marketing, del commerciale e dello sviluppo. Insomma in ruoli di importanza strategica nelle aziende e ruoli chiave del nostro paese perché inseriti in un network ancora più ampio. Aggregare anche una piccola parte di questi laureati, significa avere costruito un’associazione molto forte, qualificata e qualificante, capace di fare poi il passo successivo, ovvero costruire un gruppo affiatato e capace di autosostenersi.
V.M.: Quanto tempo di porta via questa attività?
M.M.: Come tutti i lavori di rappresentanza, la presenza richiesta è davvero limitata a una volta al mese e a un evento a bimestre. Nulla di particolarmente impegnativo. L’Associazione inoltre è dotata, per nostra fortuna, di una segreteria organizzativa di altissimo livello che ovviamente ci consente di ridurre al minimo il nostro impegno operativo.
V.M.: Quali sono gli obiettivi per il 2013?
M.M.: Gli obiettivi sono molto semplici, aggregare il più alto numero di ambasciatori (ovvero di laureati IULM DOC), che si facciano sostenitori e promotori del nuovo progetto. Abbiamo fatto un paio di eventi già quest’anno che saranno calendarizzati con cadenza mensile: Incontri con la Business Community – si tratta di un incontro al mese, una chiacchiera informale su un tema definito (dalla moda al design, dal mass market alla finanza) con laureati IULM e aperti al pubblico.
V.M.: Come si lega al tuo lavoro questa attività?
M.M.: Conciliare i due impegni al momento non è molto complicato. Il ruolo in ALIULM è un ruolo istituzionale, il mio ruolo in SLOWEAR è un ruolo di ordine strategico. In entrambi i casi le competenze acquisite si travasano perfettamente perché i due ruoli sono assolutamente complementari. C’è inoltre da dire che il Comitato Direttivo è ben affiatato e ci travasiamo reciprocamente attività e operazioni in funzione delle rispettive competenze ed eccellenze professionali (ognuno ha i suoi plus – e sono questi che portiamo in associazione).
V.M.: In cosa consiste il tuo lavoro di presidente?
M.M.: Oltre a rappresentare l’associazione in tutte le occasioni istituzionali e pubbliche ovviamente c’è la definizione della linee strategiche e di sviluppo dell’Associazione a 3 e 5 anni. Ovviamente questo è un lavoro che facciamo mensilmente con il comitato direttivo. Al momento le linee strategiche sono chiare e definite è anche vero però che in uno scenario così mutevole, il cambio delle strategie è condizione imprescindibile per arrivare agli obiettivi prefissati. E’ per questa ragione che, con il Comitato Direttivo, ci siamo dati obiettivi strategici concreti ma abbiamo lasciato aperta la definizione degli strumenti da usare di volta in volta. Infatti siamo fermamente convinti che la flessibilità sia il miglior modo per costruire un’associazione vincente.
(Intervista di Viviana Musumeci)
Intervista a Rossella Ravagli, capo sezione CSR & Sustainability di Gucci
Sempre più spesso le grosse multinazionali del lusso si orientano verso politiche green e di sostenibilità. L’attenzione alle risorse umane e al rispetto per il pianeta sono diventati per alcune aziende tanto importanti quanto il mantenimento di alti standard qualitativi nella realizzazione dei propri prodotti. Gucci da tempo è attenta a questo tipo di problematiche tanto dall’aver attivato un dipartimento Csr & Sustainability a cui capo c’è Rossella Ravagli.
V.M.: Che cos’è la sezione di CSR & Sustainability?
R.R.: E’ il dipartimento interno a Gucci che si occupa di sviluppare ed implementare la strategia di sostenibilità sociale ed ambientale dell’azienda. La struttura esiste dal 2008 ed è cresciuta in questi anni a testimonianza della grande attenzione e dell’investimento costante che l’azienda ripone verso questi temi. Queste sono le nostre aree di impegno:
Tutela e valorizzazione delle risorse umane, garantendo il rispetto dei diritti umani e di tutti i lavoratori attraverso l’adesione a riconosciuti standard internazionali.
Gestione della filiera combinando obiettivi economici e principi sostenibili.
Gestione dell’impatto ambientale lungo tutta la catena del valore, dall’approvvigionamento delle materie prime alla consegna del prodotto.
Solidarietà attraverso la partecipazione e il sostegno alle cause umanitarie che coinvolgono i più deboli e gli svantaggiati.
Supporto alla creatività nello sviluppo di prodotti sostenibili, e nel sostegno alle arti e alla cultura in senso lato.
V.M.: In cosa consiste il suo coordinamento?
R.R.: In qualità di Head of CSR & Sustainability mi occupo di coordinare, interfacciandomi con i tutti i dipartimenti aziendali, lo sviluppo e l’implementazione di tutti gli strumenti, i processi e le attività necessarie all’attuazione del programma sociale e ambientale di Gucci. Fa parte di questo processo anche il lavoro di identificazione dei rischi e degli impatti sociali, etici ed ambientali della produzione, delle attività commerciali, delle infrastrutture e della logistica, nel rispetto dell’ambiente e delle comunità dove l’azienda opera.
V.M.: Con quali modalità concrete Gucci valorizza aspetti come l’etica negli affari, il rispetto dei diritti umani e dei lavoratori, il coinvolgimento dei fornitori o degli stakeholder?
R.R.: Attraverso piani e programmi strutturati che ogni anno ci vedono in prima linea nella promozione di un “valore sostenibile” che sta alla base delle politiche gestionali e dei comportamenti aziendali. Per quanto riguarda l’etica e il rispetto dei diritti di tutti i nostri lavoratori, fornitori compresi, siamo stati i primi ad avviare volontariamente nel 2004 un processo di certificazione in materia di Responsabilità Sociale (SA8000) nei nostri uffici, negozi e lungo l’intera catena di fornitura, per cui periodicamente riceviamo ispezioni di verifica di conformità. Dopo aver siglato con i sindacati nel 2009 un accordo per la creazione di un Comitato per la Responsabilità Sociale aziendale, nel 2011, abbiamo firmato la Carta per le Pari Opportunità e l’Uguaglianza sul Lavoro, che assicura il rispetto del principio di pari dignità e trattamento sul lavoro a tutti i dipendenti. Nello stesso anno, abbiamo ottenuto la certificazione ambientale ISO 14001 e avviato un programma di iniziative eco-friendly per la progressiva riduzione dell’impatto delle attività dell’azienda sull’ambiente. Tra queste la creazione di un nuovo packaging realizzato esclusivamente con carta certificata FSC (Forest Stewardship Council) e riciclabile al 100%. Per quanto riguarda la relazione con la supply chain, invece, nel 2009, abbiamo dato vita ad un Comitato per le Politiche di Filiera partecipato da Confindustria Firenze, CNA Firenze, e le organizzazioni sindacali FILCTEM-CGIL, FEMCA-CISL, e UGL, nato con la volontà comune di individuare strategie condivise volte a sostenere, valorizzare e promuovere la filiera Gucci e il territorio fiorentino quale patrimonio di conoscenze unico e di valore riconosciuto, in una logica di sostenibilità economica e sociale. Parallelamente siamo stati promotori di 3 reti d’impresa, P.re.Gi, Almax e F.a.i.r., specializzate in piccola pelletteria, borsetteria e valigeria. Una nuova forma aggregativa – che oggi è salita a 7 reti d’impresa – che permette di rafforzare la competitività del tessuto produttivo stimolando innovazione ed economicità. L’approccio di Gucci è un approccio olistico che si basa sul dialogo e il coinvolgimento di tutti gli stakeholder. Abbiamo infatti avviato diversi programmi di collaborazione con università, organizzazioni non governative e associazioni ambientaliste e animaliste (tra queste Unicef, Greenpeace, Rainforest Alliance), sindacati, associazioni, fondazioni e istituzioni.
V.M.: Perché è stato creato un logo dedicato e come e dove viene veicolato?
R.R.: Il desiderio di fornire coerenza a tutte le iniziative volte alla sostenibilità ci ha spinto ad ideare un nuovo logo: “Gucci Responsibility”. Il logo riprende il simbolo iconico della GG incrociata, laddove una delle due G, la prima, è di colore verde. La parola “responsibility” ai piedi del logo testimonia l’importanza del valore della sostenibilità nella strategia dell’azienda.
V.M.: E’ vero che la sabbiatura dei jeans è un processo pericoloso?
R.R.: Si è vero. Questa è la ragione per cui nel febbraio 2011 abbiamo aderito a Clean Clothes Campaign, il movimento contro il processo di sabbiatura dei jeans denim, una pratica ritenuta estremamente dannosa per la salute poiché fra le principali cause della silicosi in forma acuta, malattia polmonare spesso mortale. Gucci ha inoltre promosso un tavolo di confronto permanente con i sindacati, le ONG, gli istituti di ricerca e le associazioni per lo studio di tecniche alternative da diffondere fra le aziende in sostituzione della pericolosa
sabbiatura.
V.M.: Cos’è la bioplastica e per quali prodotti la utilizzate?
R.R.: E’ un materiale altamente innovativo, biodegradabile in compost che grazie alla particolare formula subisce un processo di decomposizione di qualche mese contro i 1.000 anni richiesti dalle materie plastiche sintetiche derivate dal petrolio.Abbiamo scelto la bioplastica per creare un’edizione speciale di calzature eco-friendly da donna e da uomo, disegnate dal nostro Direttore Creativo Frida Giannini e parte della Collezione Pre-fall 2012. Si tratta delle ballerine “Green Marola” e delle sneakers “Green California”.
V.M.: Che tipo di accordi avete fatto con il Tribeca Film Festival e che legame ha Gucci con il cinema?
R.R.: Gucci offre il suo sostegno al cinema documentaristico in quanto importante mezzo artistico e strumento creativo in grado di attirare l’attenzione su temi importanti di oggi. Nasce così la collaborazione con il Tribeca Film Institute di New York, importante ente che ha scelto di sfruttare la forza del cinema per promuovere comprensione e tolleranza a livello globale. L’accordo prevede la creazione di un fondo destinato alla realizzazione di lungometraggi documentaristici che portano l’attenzione su problemi di importanza sociale in tutto il mondo. A ciò si aggiunge l’istituzione nel 2011 del Gucci Award for Women in Cinema, in collaborazione con la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia e il recente progetto Biennale College – Cinema, laboratorio di alta formazione, ricerca e sperimentazione per lo sviluppo e la produzione di opere audiovisive a micro-budget, aperto a registi e produttori emergenti nel mondo. Tante iniziative che sono motivate dal nostro amore per il cinema e dalla volontà di contribuire tra le tante strade percorribili, all’educazione e alla crescita dei talenti futuri.
(Intervista di Viviana Musumeci)
Intervista di Viviana Musumeci a Stéphane Treppoz
I numeri sono da capogiro, del resto lo shopping online è uno di quelli che regge durante la crisi. 100 milioni di fatturato world wide per Sarenza, sito di ecommerce specializzato esclusivamente in calzature e borse, nato in Francia nel 2005 che oggi vanta la presenza in 25 Paesi in Europa – in Italia è Sarenza.it -. Più di 600 marchi disponibili, oltre 35.000 modelli diversi di scarpe e bags e un milione di prodotti nei magazzini di 18.000 mt quadrati: questi i dati che colpiscono di un brand che indubbiamente ha anche molti competitor, ma che resta ancorato alla leadership grazie anche a una strategia particolare che il Ceo Stéphane Treppoz ha spiegato:
V.M.: L’ecommerce sta premiando in questi mesi i siti che hanno investito offrendo prodotti a chi acquista stando comodamente seduto a casa. Come vivete questo periodo?
S.T.: Siamo assolutamente ottimisti e lo stiamo vivendo molto bene perché il nostro sito, nato nel 2005 è cresciuto in maniera esponenziale e continua a incrementare le vendite. Un dato per tutti: + 20%. La velocità con cui cresciamo è veramente straordinaria se pensiamo alla crisi economica mondiale.
V.M.: In quali Paesi avete inaugurato Sarenza nel 2012?
S.T.: Siamo giunti a quota 25 grazie a Polonia, Danimarca e Svezia. Nuove inaugurazioni sono attese per il 2013.
V.M.: Siete uno dei pochi siti di ecommerce a essere specializzati esclusivamente in scarpe e borse. Pensate di allargare ad altri ambiti merceologici?
S.T.: No, l’essere focalizzati solo su calzature e borse è il nostro punto di forza. Come del resto, restare in Europa. Non pensiamo di sviluppare il nostro sito in Paesi come Stati Uniti, Brasile, Cina o Medio Oriente.
V.M.: Come descrivereste i vostri clienti tipo?
S.T.: Il 60% degli acquisti vengono effettuati da e per il sesso femminile; il 20% da e per il sesso maschile e infine, l’ultimo 20% viene effettuato dalle responsabili di acquisto – ovvero le donne – per i bambini. Le donne solitamente acquistano per sé e per i figli e sono o molto oculate e attente, oppure seguono il cuore e la fantasia. Gli uomini, invece, sono ripetitivi, acquistano solo per sé e sono un po’ noiosi.
V.M.: E il cliente tipo italiano, invece?
S.T.: Abbiamo appaltato una ricerca per capire come sono i nostri clienti principali. L’italiano si percepisce come una persona elegante, chic, sensuale che ama la qualità nei prodotti. Probabilmente proprio perché siete abituati a toccare i prodotti prima di acquistarli, siete più restii, rispetto agli altri consumatori, ad acquistare online. Però, ci sono molte possibilità di crescita.
V.M.: Qual è, infine, l’origine dei brand che mettete in vendita su Sarenza?
S.T.: Direi che i prodotti provengono in primis dalla Francia, subito dopo dall’Italia e infine dalla Spagna. Questi sono i tre Paesi più importanti, anche se poi molti marchi sono tedeschi oppure americani o inglesi.
(Intervista di Viviana Musumeci)
Fonte: VM-Mag
Intervista a Michela Gattermayer, esperta di moda al Festival della Moda Russa
E’ diventato ormai un appuntamento fisso quello con il Festival della Moda Russa, organizzato da Società Italia che si tiene ogni anno a Milano. L’ultima edizione, la sesta, si è conclusa la scorsa settimana negli spazi di via Cerva. Tre giorni ricchi di appuntamenti di diverso genere conclusisi con un coctkail al quale hanno preso parte molti addetti ai lavori, tra cui numerosi giornalisti. Una vera e propria habituée dell’evento è la giornalista ed esperta di moda Michela Gattermayer – che ha diretto Velvet -, che da anni segue il Festival molto da vicino.
V.M.: C’è un fermento che fino a qualche anno fa era inimmaginabile? Nascono nuove fashion week nel mondo e festival dedicati alla moda. Nuove opportunità o nuovi competitors per la moda italiana?
M.G.: Secondo me dipende. Se ragioniamo in termini di competizione non si va da nessuna parte. Il futuro è nella coperazione, anche se è dimostrato storicamente che è fallita, credo che sia l’unica vera risposta e non solo nella moda. C’è tanta gente italiana che va a lavorare in Cina e viceversa. Non si può essere nazionalisti. La competizione semmai è tra persone.
V.M.: E’ da molti anni che segui il Festival della Moda Russa. Come si è evoluto negli anni?
M.G.: Rispetto a sei anni fa effettivamente ho assistito a un netto miglioramento. L’organizzazione migliora di anno in anno. E anche la ricerca dei giovani talenti è veramente sorprendente. Ormai le idee viaggiano velocemente e questo principio vale per ogni parte del mondo.
V.M.: Come spieghi questa attenzione alla moda da parte di Paesi che prima non le attribuivano questa importanza?
M.G.: Credo che la moda insieme alla musica siano i due veri linguaggi internazionali dove non c’è bisogno di usare le parole. Si comprendono ovunque a qualsiasi latitudine ci si trovi. Avverto poi un cambiamento nell’ambito della moda. E’ tornata a essere meno commerciale.
V.M.: Che cosa ti ha colpito dei progetti russi al Festival?
M.G.: La creatività russa è interessante quando vengono usati capi che appartengono alla tradizione, ma rivisitati in chiave più contemporanea. In realtà penso che questo valga per tutti, anche per la Cina o altri paesi. Certe tecniche, disegni, colorazioni sono affascinanti e per nulla etnici. Valorizzare le radici è importante, del resto è ciò che hanno fatto molti marchi storici. Non cavalcare la propria storia e il proprio passato è da pazzi. Indubbiamente, poi è necessario essere meno marginali e più internazionali.
(Intervista di Viviana Musumeci)
Intervista a Stefano Marazzato, direttore commerciale di Misaki
Misaki è un marchio monegasco di gioielli che nasce nel 1987 vendendo, in un primo momento, i propri prodotti alle compagnie aeree per poi passare ai duty free. Il 2003 è la data che segna l’entrata del brand nel mercato domestico. Negli ultimi mesi, l’azienda ha schiacciato il piede sull’acceleratore, dando inizio a una politica aggressiva nel campo dell’internazionalizzazione del marchio. Ne ha parlato il direttore commerciale Stefano Marazzato.
V.M.: Quali sono le vostre strategie nell’ambito del retail internazionale?
S.M.: In generale le nostre strategie sono di selezionare distributori in ogni mercato di riferimento dove apriamo nuovi punti vendita oppure di consolidare quelli che già abbiamo. I nostri distributori devono essere in grado di selezionare punti vendita qualificati o di aprirne di nuovi in franchising. Questo è quanto abbiamo fatto a Miami, in Messico con un francising a Cancun. Tra l’altro, a quello di Cancuni vorremmo affiancarne un altro a Città del Messico. Le prossime aperture certe saranno in Equador e alle Cayman. Abbiamo in previsione anche una seconda apertura al Cairo entro il 2013. In Italia abbiamo una collaborazione con un nuovo distributore quindi stiamo vagliando delle proposte, ma per quanto riguarda il monomarca è ancora presto. Certo ci fosse un’opportunità interessante, la valuteremmo.
V.M.: E per quanto concerne l’Asia?
S.M.: Cina e Giappone sono appealing, ma li guardiamo con attenzione. Gli altri Paesi che ci stanno dando molte soddisfazione sono quelli del Medio Oriente: Dubai, Abu Dhabi, Doha, Arabia Saudita, Libano, Iran, Iraq. Perr noi sta rappresentando un’area di crescita a due cifre.
V.M.: A proposito di soddisfazione, a quanto è ammontato il vostro fatturato 2011?
S.M.: Non posso dare questo dato preciso, ma posso dirle che abbiamo un dato tendenziale con una crescita a due cifre a livello world wide.
V.M.: Quali sono le tendenze principali nel mondo del gioiello?
S.M.: Direi che il trend maggiore sia quello del gioiello pret a porter. Poi certo, per alcune persone può significare un gioiello da 10mila euro, per altre da 200 euro, ma è indubbiamente la tendenza maggiore. Il gioiello è diventato un accessorio, non più solamente un bene di investimento. Anche nel nostro settore c’è lo stesso trend che nella moda, quello dove la signora acquista indifferentemente da Zara come da Louis Vuitton.
V.M.: Qual è l’elemento distintivo di Misaki?
S.M.: É quello di aver saputo dare a una gemma di stampo classico, un taglio moderno e trendy, oltre che di design.
(Intervista a cura di Viviana Musumeci)
Fonte: VM-Mag
Intervista a Patrizia Giangrossi
Non capita spesso che un’azienda giunga alla sua quarta generazione e di questi tempi, quando accade, bisognerebbe festeggiare. Pierre Mantoux, brand specializzato in calzetteria, maglieria, costumi da bagno e lingerie, compie proprio quest’anno i suoi primi 80 anni. Al timone dell’azienda, come amministratore unico, c’è Patrizia Giangrossi – erede della famiglia -, mentre le figlie Chiara e Costanza Ferraris, seguono, rispettivamente l’export e lo stile.
Viviana Musumeci ha intervistato Patrizia Giangrossi
V.M.: 80 anni per un’azienda non sono pochi. Il fatto di essere un family brand vi rende forti, ma come lavorate tutti insieme visti i legami familiari?
P.G.: Solitamente esiste un rispetto per il singolo contributo apportato da ogni membro della famiglia. Ciò avviene nel rispetto della propria specializzazione. Ci incontriamo periodicamente per parlare delle situazioni da affrontare a livello aziendale. Durante i meeting vengono effettuati degli scambi di opinione dove analizziamo le nostre posizione per poi procedere con le decisioni finali.
V.M.: Mi parla dell’andamento economico dell’azienda visto che si continua a parlare di crisi?
P.G.: Negli ultimi due anni, 2010 e 2011, abbiamo avuto una crescita del 20 e del 15%. Il 2012 si chiuederà approssimativamente sugli stessi livelli dello scorso anno.
V.M.: Avete lanciato da poco una nuova linea dedicata alle signore formose: perché?
P.G.: La tendenza delle donne curvy è indubbiamente in aumento. Abbiamo fatto realizzare degli studi a tale proposito e la fetta di mercato è interessante. Non solo: è in aumento anche il pubblico di donne che oltre a essere eleganti, desiderano sentirsi anche comode. Pierre Mantoux Formes & Curves permette di combinare questi due aspetti grazie al materiale che li compone (Lycra Exceptionel).
V.M.: Si parla spesso di Made in Italy, a volte persino a sproposito visto che è diventato quasi un concetto astratto. Pierre Mantoux può essere considerato un brand Made in Italy?
P.G.: Assolutamente sì: Pierre Mantoux produce le sue collezioni in Italia e in particolare la calzetteria nel distretto di Castelgoffredo, che produce i ¾ dei collant in Europa e 1/3 di tutto il mondo.
Intervista a Fabrizio Politi
Solitamente quando si parla di acquisti, il consumatore medio si sofferma su un rapporto che si basa su due elementi: la qualità e il prezzo. L’etica, da qualche tempo, è divenuto per taluni, una leva assai importante – inquinamento, impatto del consumo o della produzione di un determinato tipo di merce sull’ambiente, sfruttamento della manodopera, ecc. -. Esiste un signore, un imprenditore a dire il vero, Fabrizio Politi che da qualche tempo studia un diverso approccio al consumo e che per questo si è inventato una community – dal nome utopistico Sixth Continent -; un algoritmo e la sua relativa applicazione per smartphone – Mo.Mo.Sy. – e promette in maniera ambiziosa di rivoluzionare il consumismo e il mondo stesso inserendo nel rapporto di cui sopra un terzo elemento, oramai, fondamentale – visti i tempi che stiamo percorrendo -: l’opportunità economica. Ma cosa significa? Di fatto Politi, ha incrociato studi di settore, rating delle banche, modelli economici e indagini sulle abitudini dei consumatori e ha creato una mappa inserendo 500.000 nomi di aziende e multinazionali italiane e internazionali, individuando quelle che reinvestono nella comunità il denaro guadagnato – creando quindi ricchezza e nuove opportunità di lavoro – e quelle che, invece, mirano solo al proprio profitto – impoverendo, conseguentemente, la massa ovvero noi -. Non solo: le aziende sono state divise in verdi – le prime – e in rosso – le seconde – e sono state inserite in un database consultabile tramite, per l’appunto, l’app – Mo.Mo.Sy. – che in tempo reale comunica al consumatore, quali sono le aziende di cui acquistare i prodotti e quelle, di fatto, da boicottare affinché diventino verdi. Ciò accade, ovviamente, anche nel settore della moda.
Viviana Musumeci ha intervistato Fabrizio Politi:
V.M.: Com’è nata Sixth Continent e perché ti sei lanciato in questa avventura?
F.P.: In realtà non ho avuto altra scelta. E’ un po’ come se scoprissi la cura per debellare qualche malattia mortale e non la utilizzassi oppure non la mettessi a disposizione degli altri. Stiamo vivendo una crisi mondiale drammatica dove molte persone perdono il posto di lavoro e vivono la tragedia della consapevolezza di non trovarne un altro. Mi sono chiesto: cosa posso fare? L’intuizione, poi, di fatto, è stata quella di assemblare delle cose che già esistevano: studi, rating delle banche, modelli economici che abbiamo sotto gli occhi quotidianamente. Uno dei problemi principali è che i Governi non hanno più posto limiti all’arricchimento indiscriminato delle aziende e delle multinazionali. Anzi, di fatto, sono i responsabili di questa crisi che hanno messo dei limiti ai Governi. Il problema è complesso, ma tutti abbiamo contribuito a raggiungere questo risultato. Noi cittadini, che siamo di fatto la forza più potente che esista al mondo, abbiamo contribuito negli ultimi 30 anni a far accumulare il denaro in poche mani. Ma proprio perché i cittadini sono una forza eccezionale, ho pensato che si potesse invertire la rotta. La crisi economica si può sconfiggere.
V.M.: In che modo?
F.P.: Oggi si parla solo di bilanci; non si parla di felicità , di benessere, di scuole. I Governi ormai hanno le mani legate e non hanno più il potere per porre dei limiti a questo tipo di forze. Uno dei motivi per cui in passato sono stati posti dei limiti da parte dei Governi è per evitare la nascita di aziende e banche sistemiche, quelle che si arricchiscono impoverendo la massa. Mi sono chiesto come si potessero rimettere i limiti e leggendo un libro sulla “nanotecnologia” ho avuto la prima intuizione: se una massa di consumatori aggrega il denaro in maniera differente, la massa stessa avrà un potere maggiore e diverso. Poi ho capito che dovevo studiare anche un modello matematico che mi indicasse il limite. E di fatto ho capito che quello è rappresentato dalle aziende che assorbono più denaro di quello che rilasciano nelle società. Ci sono esseri umani sempre più ricchi, e altri sempre più poveri. Volevo che ci fosse un equilibrio. Dovevo trovare un algoritmo che raccogliesse credibilità anche a livello internazionale. E di fatto quello che ho elaborato si basa sull’utile netto delle aziende e sul numero di dipendenti (due dati oggettivi) . Ho scritto un libro sull’argomento poiché volevo arrivare a più persone possibili, ma dopo il clamore del lancio, tutto è tornato come prima. Un giorno ero a bere un aperitivo con un amico, quando a un certo punto il figlio che disse al padre, guardando un’app sull’iPhone, che il giorno successivo sarebbe stato bello e che per questo potevano fare una gita. Lì ho avuto un’altra folgorazione. Ho pensato che un bambino poteva sapere senza conoscere la metereologia che tempo ci sarebbe stato il giorno successivo, anche la massa senza conoscere logaritmi e calcoli vari, ma con una semplice applicazione, avrebbe potuto sapere quali aziende creano impatto sulla massa e quali no.
V.M.: Mo Mo Sy individua le aziende etiche?
F.P.: Non è quello il suo obiettivo, ma quasi sempre conduce sia alle aziende che hanno un comportamento etico, sia a quelle che non ce l’hanno per il semplice motivo che quando un’azienda, ad esempio, sfrutta la manodopera di Paesi in via di sviluppo, lo fa per pagare meno tasse nei paesi occidentali e siccome Mo Mo Sy follows the money, le intercetta.
V.M.: Quali sono i nomi di azienda di moda da donna che Mo Mo Sy inserisce nella lista delle rosse, cioè di quelle che non distribuiscono il denaro guadagnato sulla massa?
F.P.: Le prime che compaiono sono: Valentino (ndr rilevata quando apparteneva ancora al Fondo Permira), Boss, United Colours of Benetton, Fendi, Emilio Pucci, Chanel, Prada, Hermes, Zara e Gucci.
V.M.: Quali sono, invece, quelle che compaiono tra le verdi?
F.P.: Burberry, Pirelli, Tod’s, Ferragamo, Diesel, Moncler, Dolce&Gabbana, Dama Paul & Sharke Ittierre.
Intervista a Edoardo Ambrosini, titolare di Interpool SPA
Museum è un marchio di abbigliamento casual informale fondato nel 1986. Ispiratosi allo sportwear nordamericano, il brand è stato acquisito nel 2001 dalla famiglia Ambrosini che ne ha cambiato il dna: se in precedenza, con la vecchia proprietà l’azienda era un contenitore di altri marchi, con la nuova gestione è stata lanciata una vera e propria collezione a nome Museum.
Viviana Musumeci ha intervistato Edoardo Ambrosini, titolare di Interpool SPA – società che detiene il marchio – e responsabile comunicazione area mareting Museum.
V.M.: A cosa si ispira la linea Museum?
E. A.: L’azienda si trova a Tiene tra le montagne. Ci ispiriamo al Nord America, anche se i nostri capi vengono vissuti appieno anche sulle nostre montagne. Lo stile che portiamo in giro per il mondo è quello dell’italianità, sia nel design, sia nella qualità. Il capo, per noi, deve essere funzionale, ma anche bello esteticamente.
V.M.: Vi considerate un marchio Made in Italy?
E. A.: Non propriamente. I nostri fornitori si trovano un po’ dapperttutto, come dicevo prima l’italianità è nello stile di ciò che facciamo.
V.M.: Come state vivendo questo periodo incerto da un punto di vista economico?
E. A.: Sicuramente non aiuta il clima di lavoro, però dal punto di vista strategico cerchiamo di trovare dei rimedi su come cambiano i consumi e come si evolvono. In questo periodo, la gente spende meno. Dal nostro punto di vista non volendo diminuire la qualità dei nostri prodotti, diminuiamo i margini ma portiamo il prodotto sul mercato con un prezzo più basso.
V.M.: A quanto è ammontato il fatturato 2011 e come prevedete di chiudere il 2012?
E. A.: Rispetto al 2010, nel 2011 siamo stati stazionari sui 13/14 milioni. Per la fine dell’anno prevediamo un calo fisiologico intorno al 20%, ma è una diminuzione che non ci preoccupa, visto che riguarda la diminuzione dei margini.
V.M.: Quali sono i mercati che, oltre all’Italia, rappresentano il vostro core business?
E. A.: La Germania è il nostro primo mercato di riferimento già da molto tempo. Da qualche anno siamo anche in Canada, Russia, Benelux e stiamo tentando di entrare in Scandinavia. In futuro punteremo anche sugli Stati Uniti.
V.M.: Lei lavora in un’azienda di famiglia. Cosa significa lavorare a stretto contatto quotidiano di suo fratello? Litigate ogni tanto?
E. A.: In realtà, oltre a lavorare con mio fratello, lavoro anche con mio padre. Fortunatamente andiamo d’accordo. Mio fratello, che parla sempre di lavoro anche fuori dall’azienda, è il più decisionista. Io, invece, ho un ruolo più di supporto anche perché sono la parte più riflessiva.
Intervista a Massimiliano Rossi, direttore generale di Brand Park
L’ultima edizione di Micam, che si è tenuta dal 16 al 19 settembre scorsi, è stata l’occasione per Lumberjack di presentare in anteprima la sua nuova collezione sportiva: una linea che si ispira al mondo dello sport da indossare nel tempo libero, adatta nella pratica di sport amatoriali. Una collezione declinata in calzature da tennis, sneaker per il tempo libero, scarpe da running ideate e prodotte utilizzando i materiali e le tecnologie più moderne. Non solo: sempre il Micam è stata l’occasione per presentare ufficialmente il restyling del logo di Lumberjack. La foglia di acero rossa è stata ridisegnata e colorata nei colori della bandiera italiana per sottolineare che, anche se il brand lo scorso anno è stato acquisito dal gruppo turco Zylian, l’italianità dello stile, del design e della lavorazione restano intatti.
Viviana Musumeci ha intervistato Massimiliano Rossi, direttore generale di Brand Park
V.M.: Dopo l’acquisizione da parte del Gruppo Zyilan cosa è successo a Lumberjack e quali sono le novità che vi riguardano?
M.R.: Abbiamo continuato a lavorare come saempre facciamo. A Micam abbiamo presentato la nuova linea sportiva perché Zyilian già possedeva un marchio di scarpe di questo tipo e quindi abbiamo sfruttato la sua expertiste per realizzare qualcosa di analogo anche per il mercato italiano. Di base abbiamo mantenuto il dna e la storicità del marchio. Il resto si è evoluto. Abbiamo allargato il nostra raggio d’azione grazie al fatto che con la nuova società abbiamo a disposizione consulenti internazionli e strumenti diversi che ci consentono di sviluppare delle collezioni nuove, con maggiore qualità, pur mantenendo un prezzo più basso del 30%.
V.M.: Come prevedete di chiudere il 2012?
M.R.: Il nostro anno fiscale va da giugno a giugno, per cui non posso commentare il passato, tuttavia abbiamo già avuto delle ottime entrate. Se il buongiorno si vede dal mattino, credo che non ci saranno problemi a raggiungere i 25 milioni di euro che ci siamo prefissati.
V.M.: Come vivete il clima di incertezza economica e politica?
M.R.: La nostra ricetta è quella di puntare su un prezzo accessibile per gli italiani e per gli europei, garantendo, al contempo, durevolezza e qualità del prodotto. Non solo: la cosa fondamentale è garantire anche la distribuzione. Il mercato attualmente si divide in 80% Italia e 20% resto del mondo. Ma nei prossimi tre anni puntiamo al 50 e 50.
Fonte: VM-Mag



























