Lindsay Kemp, Premio Dorian Gray 2011 alla carriera dopo James Ivory
Lindsay Kemp, inglese, 75 anni (o forse 73: la data di nascita è incerta), è una vera “prima donna” dell’universo queer oltre che Maestro indiscusso, nel teatro e nella danza, dell’estetica camp (un cognome: un destino). Allievo di un gigante del palcoscenico, il mimo Marcel Marceau, Kemp ha costruito nel tempo uno stile inconfondibile, un mix di tragico e di comico, di urlo e sberleffo, di piume e lacrime, di sublime e ridicolo, di melodramma e trasgressione.
Folletto, divina signora, corpo asessuato, il poliedrico Kemp esplode, alla fine degli anni Sessanta con lo spettacolo Flowers (la cui prima fu al Festival di Edimburgo) che racconta gli amori del travestito Divine, un inno all’erotismo di una delle sue Muse ispiratrici, Jean Genet (ma anche Ginsberg, Whitman, Nijnskij) e al suo romanzo Notre Dame de Fleurs. Un successo planetario che lo portò, di lì a breve, a calcare le scene dei grandi teatri del West End e di Broadway.
I Settanta sono il suo decennio, la sua consacrazione: oltre a Flowers, Salomè, Sogno di una notte di mezza estate e Sogno a Hollywood – realizzato proprio a Torino con la Compagnia del Teatro Nuovo, un omaggio al cinema muto. E poi la messa in scena del tour Ziggy Stardust di David Bowie (che aveva il suo stesso corpo androgino e si era fatto le ossa nella sua compagnia e che a lui si ispirò per i suoi travestitismi), la partecipazione a due film memorabili di Derek Jarman (Sebastiane e Jubilee) così come a due capolavori di Ken Russell, altra icona assoluta del camp (Messia Selvaggio e Valentino), regie liriche, produzioni teatrali, videoclips (con Kate Bush, altra sua celebre allieva).
Artista assolutamente rivoluzionario, e come tale molto amato e molto contestato dai puristi, Lindsay Kemp ha da tempo scelto l’Italia come sua seconda patria. Nel 1998, un grande regista come Todd Haynes lo ha voluto con sé, in un cameo/pantomima in Velvet Goldmine.




















