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Deborah, nuovo Fondotinta Compatto Newskin
Il fondotinta è un alleato prezioso per noi donne, ancora non ho capito come facciano gli uomini a vivere senza, tutte voi avrete provato una volta nella vita l’ebbrezza di aver trovato “quello giusto”: è quasi un miracolo, vero? Se siete ancora alla ricerca del prodotto adatto a voi e siete amanti delle texture compatte non potete lasciarvi sfuggire l’ultima novità di Deborah: si chiama NewSkin, pelle nuova, è in polvere e garantisce protezione alla pelle e copertura media (tipica dei fondotinta compatti).
La nuova formula, potenziata con oligoelementi minerali e con l’Antioxidant Defence DH Complex protegge il viso dall’inquinamento, nemico numero uno della pelle. Consigliato anche per le pelli delicate, non occlude i pori e può essere usato da asciutto ma anche con la spugnetta bagnata e ben strizzata; Newskin è disponibile in quattro tonalità diverse, ed è già in vendita nelle profumerie concessionarie Deborah. Il prezzo è di circa 13 Euro.
Fonte: The Beauty Side Of Life
Tangeri, viaggio tra mondi paralleli
Il portiere mi apre la reception e rimane un poco interdetto. Conosceva vagamente William Burroughs di nome e non comprende il mio interesse per la camera n.9 dove visse e scrisse Il pasto nudo. Una camera banale, un lavabo, un letto, un armadio e diversi buchi nel muro per ricordare che lo scrittore americano era un adepto del tiro con la pistola. Dalla finestra si vede il mare e l’ avenue d’Espagne, la Promenade des Anglais di Tangeri. L’Hôtel El Muniria o Villa Delirium, come lo chiamavano i beatniks che lo avevano eletto a loro rifugio, non figura nelle guide come luogo indimenticabile del turismo letterario a Tangeri. Tangeri, luogo di appuntamenti per gli scrittori della beat generation, venuti qui a respirare boccate di libertà, di haschic o di oppio. Jack Kerouak e Allen Ginsberg hanno camminato nella medina gustando forse hamburgher insaporiti di kif, si sono riempiti di pasticcini al miele e hanno tirato tardi nei caffè del Petit Socco (piccolo mercato). “E’ uno dei rari posti nel mondo dove si puo’ fare quello che si vuole” proclamava Burroughs. A Tangeri, ci si arriva per una storia d’amore, per un rimpianto, per niente e per tutto. La città custodisce l’impronta della letteratura vagabonda e tante ombre del passato. Non si contano più i visitatori che hanno scritto diari di viaggio o romanzi in questo luogo ingolfato di storia. Sulla terrazza di uno dei caffè della piazza del Petit Socco, per esempio, batte ancora il cuore della medina, colmo di sentimenti antichi e di sguardi lancinanti, ancora emozionanti. Alla Fuentes, dove Tennessee William, Paul Bowles e Djuna Barnes erano degli habitué, o al Tingis frequentato dai beatniks, bisogna sedersi e guardare. Il Petit Socco è un teatro della vita. Tutta la medina viene qui a mostrarsi. Tennessee William e Gore Vidal stavano qui per dragare i ragazzi, Errol Flynn le ragazze, i Beatles invece per comprare l’hashic. La sede della Delegazione Americana, unico monumento storico classificato fuori dagli Stati Uniti, conserva nel suo Museo una sala dedicata a Paul Bowles. L’autore di Un thè nel deserto sta a Tangeri come Byron alla Grecia e Jack London all’Alaska, un bagliore eterno. La porta del Sahara è al centro della sua esistenza e delle sue opere. “Il mio soggiorno doveva essere di corta durata. Non avevo scelto di vivere a Tangeri in modo permanente; questo è successo tutto da solo“, confido’ Paul Bowles dopo essere sbarcato una prima volta a 19 anni, nel 1931, quando il kif era ancora di libera vendita dai tabaccai. Tangeri lo conquisto’ al punto di farlo restare tutta la vita. Si è spento nel 1999, lasciando le sue valigie ad attenderlo per sempre, alla Delegazione Americana. Tangeri ha lo charme indefinibile di Trieste, di Alessandria d’Egitto o di Valparaiso. La letteratura non si è mai installata nei suoi muri. A partire dal XIX° secolo gli scrittori vi giunsero di soppiatto: Edith Wharton, Colette, Mark Twain, Pierre Loti, Paul Morand, Gore Vidal, Tennessee Williams, Somerset Maugham, Saint-Exupéry, Joseph Kessel, Henry de Montherlant, Jean Genet.. Nel suo Impressioni di viaggio, Truman Capote consigliava: ” Prima di partire ricordatevi di queste tre cose: fatevi vaccinare, ritirate tutti i vostri risparmi e dite addio ai vostri amici“. Buongiorno Tangeri la bianca. Una città che si offre su sette colline, “sistemata come una vedetta sulla punta più a nord dell’Africa“, come disse carinamente Pierre Loti. Per niente Africa e molto di Europa. Sino al suo reingresso nel Marocco, nell’ottobre 1956, Tangeri beneficiava di uno status particolare di protettorato: nove potenze la governavano, quattro monete, tre lingue ufficiali, arabo, francese e spagnolo. La città è rimasta un assemblaggio di mondi paralleli, architetturalmente e umanamente. La collina residenziale di Marshal e simile alle città alsaziane, cottage brittanici e case di agricoltori come in Louisiana. Ville ispano-moresche, normanne o basche vestono il quartiere della Montagna. Nella medina, i derb si riempono di impasse oscuri, le piccole strade in salita conducono alle terrazze nascoste. La Kasbah, cittadella del potere, a strabiombo con i suoi grovigli di costruzioni alla Escher, in una prospettiva alla De Chirico. I continenti si amalgamano, i destini si incontrano. Le strade si chiamano Vélasquez, Louisiana o Shakespeare, i viali Paris o Pasteur. Un paese della cuccagna per gli occidentali dai cuori friabili. I commercianti sono indiani, i muratori spagnoli, i cordai ebrei, i droghieri musulmani, i pasticceri francesi, gli aristocratici inglesi e gli spioni del mondo intero. Cristiani, ebrei e musulmani si ritrovano nella medina, parlano il tangerino, un mélange di spagnolo e arabo. La comunità spagnola, che si attesta su 50.000 persone dopo la guerra civile, si sente a casa. Nel vecchio quartiere spagnolo che domina il porto, a due passi dall’Hôtel El Muniria, un barbiere appoggiato all’ingresso del suo salone, mi indirizza un buenos dias. Boulevard Pasteur, l’arteria principale, dove gli abitanti si ritrovano alla sera sulla Terrasse des paresseux (terrazza dei pigri), davanti allo stretto di Gibilterra, per scrutare l’orizzonte dove il profilo della Spagna si avvicina o si allontana. Ieri, i contadini, con i loro muli carichi di prodotti della terra, si fermavano laggiù per riposare prima di continuare verso la piazza del Grand Socco. Qui si è scritto la Storia: è su questa piazza che Mohammed V mise fine al Protettorato. Questa vasta distesa separa la Tangeri mitica, con la sua medina del XII° secolo piegata sui suoi labirinti di strade strette, dalla Tangeri contemporanea immaginata dai francesi e installata su larghe avenues. Ieri, al Grand Socco, incantatori di serpenti, scrivani pubblici, commercianti di khôl e venditori di pane intrecciato si confondevano in un incredibile brusio; ai giorni nostri, i commercianti e gli sfaccendati si uniscono agli automobilisti e agli autisti di taxi nello stesso capharnaüm. Dopo la fine del Protettorato, la città non era altro che una borgata del Marocco che navigava nei suoi bei quartieri e nei suoi larghi viali. Le grandi fortune disertarono la piazza. Tangeri, che non viveva d’altro che dei loro capricci e delle loro grandezze, entro’ in una lunga notte. Hassan II, che non la portava nel cuore per via della sua ribellione, mai domata, alla monarchia assoluta, la accantono’. Tangeri declassata a difetto di un Paese. Il cinema Rif, tutto nuovo e scintillante, domina la piazza e l’ingresso della medina. La sua sala Art Déco inaugurata nel 1948 ospita una cinemateca, una biblioteca e un bar. Al posto di opere hollywoodiane, si proiettano film marocchini e dei film detti “di genere” che hanno contribuito al mito. Tangeri, paradiso dello spionaggio, luogo di tutti i traffici e di tutti i piaceri. Roteante, proibita, noir. La filmografia si riassume in una ventina di lungometraggi, la maggiorparte di serie B: Missione a Tangeri, Volo su Tangeri, Guet-Apens a Tangeri.. La morte che rode, quello che si vede in La Môme vert-de-gris, un polar del 1952 con Eddie Constantine nel ruolo di Lemmy Caution, agente dell’FBI, o in Uccidere non è un gioco, un James Bond del 1987. Un film, uno solo, le rende omaggio, è l’indimenticabile “Un the nel deserto” di Bernardo Bertolucci che si svolge nei luoghi reali come la Villa de France, l’Hôtel Continental, la strada di Tétouan o il Caffè Colon. Questi luoghi hanno conosciuto tempi migliori. La moribonda Villa de France, dove soggiorno’ Delacroix, domina un giardino a terrazze lasciato all’abbandono. Delacroix e Matisse l’hanno dipinto; Loti, Dumas, Montherland e Kessel lo descrissero nei loro romanzi. E prima di Bertolucci girarono alcune scene Julien Duvivier e Andrè Téchinè. Alla reception, un grammofono che si accompagna a un telefono degli anni ’30. L’Hôtel è rimasto nel suo succo, integro, e mi rallegro!. Altre costruzioni si degradano, come il Gran Teatro Cervantes e l’Hôtel Cécil dove soggiorno’ Michel Foucalt. Tangeri è un luogo di memorie che bisogna preservare. E’ imperdonabile, mi chiedo se diventerà un Paradiso perduto? I promotori immobiliari sembrano decisi a toglierle tutto il suo charme, le autorità preferiscono ai viaggiatori un turismo di massa. E se i tangerini sono colmi di nostalgia di quell’era di prosperità e di cultura del secolo scorso, la città invece vive un nuovo sogno. Dopo cinquant’anni di Purgatorio, Tangeri rinasce dalle sue ceneri. Mohammed VI, chiamato anche M6, vuole restituirle il suo prestigio e a Tangeri ha riservato la sua prima visita ufficiale. Il Re è un habitué di Tangeri, non solo per fare jogging o jet-ski. I progetti abbondano: nuovo porto, zona franca, infrastrutture stradali, complessi turistici. Il perimetro urbano, che si ingrandisce ogni giorno per accogliere oltre un milione di tangerini, tende a soffocare la campagna. La città sta diventando un oggetto di coinvolgimento. Alcune celebrità si sono installate: Renaud, Bernard-Henry Lévy, Francis Ford Coppola e Richard Branson (Patron della Virgin), manifestando un innamoramento totale per la medina o dei suoi quartieri di Marshal o della Montagna. Cosa sarà di questa città culto? Una nuova Marrakech? Una nuovacittà fashion con il suo pseudo souk, le sue lampade di Aladino, le sue babouches, le sue Fantasie e i suoi ristoranti con danzatrici del ventre?. Ho paura.
Fonte: My Amazighen
Coccinelle, azienda italiana acquisita da E-Land Europe
COCCINELLE PASSA UFFICIALMENTE A E-LAND ANGELO MAZZIERI CONTINUERA’ A GUIDARE L’AZIENDA
E-Land Europe ha perfezionato oggi l’acquisizione del 100% del capitale sociale di Coccinelle, l’azienda italiana leader nella produzione di borse, scarpe e accessori nel segmento del “lusso accessibile”.
A partire da oggi, il pacchetto azionario dell’Azienda passa interamente al Gruppo coreano che negli ultimi anni ha consolidato la sua presenza sul mercato europeo attraverso l’acquisizione di importanti marchi del settore abbigliamento e calzature.
Alla guida di Coccinelle, E-Land ha voluto Angelo Mazzieri, l’imprenditore che negli ultimi quindici anni ha portato avanti con grande determinazione il processo di crescita e di affermazione del marchio sui mercati internazionali.
“Ho accettato volentieri di restare come Amministratore Delegato – spiega Angelo Mazzieri – perché credo in Coccinelle e nel suo progetto di crescita e perché intendo garantire continuità al programma di sviluppo avviato negli ultimi anni. Ritengo E-Land il partner ideale per una crescita veloce e consolidata.
Normalmente un partner industriale come E-Land rileva il controllo dell’Azienda e da ciò è maturata la scelta di cedere integralmente la mia quota; una scelta motivata anche da valutazioni personali, che mi hanno spinto, in nome della crescita e dell’ulteriore affermazione di Coccinelle sui mercati di tutto il mondo, di rinunciare ad una partecipazione di minoranza dell’azienda che ho fondato con la mia famiglia e che ho gestito in prima persona negli ultimi dieci anni”.
Con Angelo Mazzieri alla guida dell’Azienda in qualità di Amministratore Delgato, E-Land è pronta ad implementare il piano industriale di sviluppo di Coccinelle che prevede consistenti investimenti sia nella struttura sia per lo sviluppo retail sui principali mercati mondiali.
Dopo la recente riorganizzazione del reparto stile, retail e commerciale, il nuovo azionista intende infatti investire per consolidare ed espandere ulteriormente la propria presenza sul mercato europeo (in particolare in Paesi come l’Italia, la Germania e la Russia), ma anche e soprattutto nei mercati asiatici quali Cina e Corea.
Fondata nel 1978 a Sala Baganza, in provincia di Parma, dove ancora oggi ha la propria sede, Coccinelle è uno dei marchi italiani leader nel settore borse e accessori del “lusso accessibile”.
Con una progettazione e uno stile esclusivamente Made in Italy, Coccinelle ha un forte legame con le aziende della filiera moda del distretto di Parma, instaurato in più di 30 anni di attività con fornitori locali. Lo sviluppo dei prodotti avviene infatti nella sede di Parma: lo stile, la scelta dei materiali e tutto il processo creativo sono Made in Italy. L’Azienda produce 6 collezioni l’anno, di cui le borse rappresentano il core business e alle quali si aggiungono scarpe, piccola pelletteria, cinture, orologi, occhiali, bijoux e accessori moda come guanti, sciarpe, foulard e cappelli, con l’obiettivo di proporre alla clientela un “total look” Coccinelle.
Nel 2011 Coccinelle, che distribuisce i propri prodotti per il 64% sul mercato italiano; per il 27% in Europa; per il 7% in Asia e per il 2% nel resto del mondo, ha registrato un fatturato consolidato di circa 52 milioni di Euro.
“Oltre a rafforzarci sul mercato europeo e nel mercato asiatico, il nostro piano industriale prevede anche di incrementare gli investimenti nel settore della comunicazione e del marketing, puntando sia sui nuovi media, ma anche sui punti vendita in cui stiamo operando un efficace progetto di CRM. Coi nuovi partner stiamo anche valutando tutte le sinergie che si possono realizzare tra le aziende del gruppo”, aggiunge Mazzieri.
Attualmente Coccinelle conta 90 punti vendita monomarca ed è distribuita in oltre 1.100 negozi multibrand a livello globale. L’obiettivo del nuovo azionista è di incrementare la presenza nel retail con l’apertura di 90 negozi monomarca (di cui circa 70 in Asia) entro il prossimo quinquennio.
Nell’operazione Angelo Mazzieri e Coccinelle sono stati assistiti da Mediobanca, dagli Avvocati Gianvincenzo Lucchini e Jane Schorah dello Studio LGA di Bologna e dal Dottor Andrea Bettuzzi; Mosaicon dallo Studio Grimaldi e E-Land dagli Avvocati Luca Fabbrini e Federico Perego dello Studio Orrick.
Marocco… caftani, tuniche e djellaba
Il Marocco è un Paese ricco in termini di storia, di tradizioni, di popoli, di culture, di religione, di clima e molto altro. Ognuno di questi aspetti influenza lo stile nel vestire dei marocchini. Nella grande varietà di abiti in Marocco i due fondamentali, che tutti posseggono, sono il Djellaba e il Caftano. Abiti raffinati che evocano lo stile lussuoso e orientale di questo Paese. Camminando attraverso le strade di una qualsiasi città marocchina vedrete certamente uomini e donne che indossano lunghi e ampi abiti con cappuccio, indossati sopra i loro abiti “normali”. Sono i Djellaba, che ricoprono il corpo interamente eccetto la testa, le mani e i piedi. Gli uomini generalmente indossano il Djellaba nelle occasioni importanti abbinato al copricapo marocchini rosso, il Fez, e calzano le classiche babouche gialle in cuoio. Ci sono dei versetti del Corano che menzionano il Djellaba come “un abito che deve essere portato dalle donne musulmane”. Discorso a parte per il Caftano che è considerato un abito importante, specialmente per i matrimoni. Altro capo che indossano gli uomini è il Kamis o Qamis. E’ un lungo camicione/tunica con collo a listino che si indossa generalmente nei giorni festivi, il venerdi’ per la preghiera, ed è fabbricato con tessuti appunto da camicia, come il cotone. Decisamente elegante viene indossato con un copricapo lavorato all’uncinetto, nello stesso colore che viene chiamato Chachia. La fantasia poi fà il suo corso e si vedono dei Kamis veramente spettacolari, ultimamenti anche in raso lucido nero, indossati per la sera. Le babouche sono d’obbligo ma sempre rigorosamente nello stesso colore della tunica. Ovviamente gli stilisti arabi stanno creando collezioni ad hoc per gli uomini che desiderano indossare questi abiti tradizionali, magari con qualche dettaglio fashion, glamour, rispettando però la tradizione. Personalmente trovo le Kamis decisamente più eleganti dei Djellaba, più fresche considerando il calore che si percepisce in estate, ma anche durante tutto l’arco dell’anno e comunque molto maschili. Ribadisco da sempre che questi abiti indossati da europei (quanti ne vedo per strada a Marrakech!) sono semplicementi…patetici… impossibili da guardare…..è come fare indossare ad un Touareg un paio di jeans a vita bassa e camicia slim. Semaforo verde se tratta di una festa in villa sotto il sole di ferragosto, magari a Pantelleria o a Porto Cervo….in questo caso è molto chic per un uomo presentarsi con questo look, tassativamenti però a piedi nudi.
Paolo Pautasso
Fonte: My Amazighen























